Filippo Manvuller, Libero 2/7/2014, 2 luglio 2014
RAGAZZA MOLESTATA SI UCCIDE PER PROTESTA CONTRO UNA SENTENZA
La storia è di quelle dall’epilogo peggiore, il suicidio di una 23enne, impiccata, in camera da letto, al termine di un calvario giudiziario di sette anni. E ora i genitori della giovane si troveranno a pagare 40mila euro al presunto molestatore della figlia, il suo ex professore, già condannato due volte.
Quello di Faenza, nella Romagna solatia cantata dal Pascoli, si candida ad essere uno dei più eclatanti paradossi giudiziari. C’è il dramma di una famiglia operaio lui, casalinga lei che all’indomani del suicidio della figlia, che chiameremo Angela, oggi si trovano ad affrontare un nuovo processo d’appello sperando una volta per tutte di evitare almeno l’onta dei risarcimenti all’uomo che avrebbe violentato la figlia. Tra le mura della scuola inizia il calvario di Angela, finito domenica, nella sua abitazione, nel peggiore dei modi, con un biglietto abbandonato sul letto: «Voi siete genitori meravigliosi, il problema sono io, la vita è difficile e io non ho più la forza».
A SCUOLA
Amante dell’arte, «aveva tutti nove in pagella», dicono i conoscenti, la ragazza scopre suo malgrado le attenzioni morbose e imbarazzanti di un prof. È il 7 febbraio del 2007 quando la giovane viene vista piangente in un angolo del cortile della scuola. Due insegnanti le si avvicinano. Lei si sfoga. Alla polizia racconterà di essere stata bloccata contro la parete di un ascensore, baciata e palpeggiata dal suo insegnante: l’episodio culmine di anni di avances e attenzioni ripugnanti. Il prof è un artista con esperienze all’estero, carattere affabile, di quelli che stanno in cattedra come stessero tra i banchi. Il professore inizia il coinvolgimento degli studenti, una trentina di loro sottoscrivono una lettera-appello, altri firmano petizioni, ci si mette pure qualche collega. Una pugnalata al cuore per la ragazza, sempre più isolata e provata da quell’esperienza. Di mese in mese quel brutto colpo ha riflessi sulla sua pagella e sul suo stile di vita. Angela arriva a un passo dalla depressione, si rivolge a un centro di salute mentale e conosce il tunnel delle dipendenze.
La scuola quasi si divide. C’è chi assiste non impassibile al declino della ragazza e chi invece conserva granitica fedeltà al professore. «L’obiettivo del docente era dimostrare che ci sarebbe stata malizia anche da parte della giovane, tutta la sua difesa è stata di fatto delegata ad altri», dice oggi l’avvocato della famiglia. Quella strategia costerà 6 mesi di carcere al docente, con tanto di blitz a scuola della squadra mobile. Il processo di primo grado si concluderà con una condanna a quattro anni, ridotti a tre in appello, più una provvisionale di 60mila euro, mentre la Cassazione deve ancora dare la sua ultima parola.
Nelle ore prima della sentenza di primo grado, il prof si sarebbe spogliato dei suoi beni, azzerando i conti correnti, cambiando la residenza, cedendo auto e proprietà. La famiglia, per ottenere quei 60mila euro, a parziale risarcimento del calvario della figlia, reagisce con una nuova denuncia, per «frode ai creditori con manovre elusive» e chiede il sequestro dei beni dell’imputato. Indaga anche la Finanza e a carico dell’insegnante arriva una nuova condanna, in sede penale, a due anni. È il 3 febbraio 2011 e il docente si affretta ad annunciare il ricorso in appello, ma la sentenza ha ancora da venire. In parallelo e qui arriva il colpo di scena procede la causa civile. Mamma e papà di Angela si rivolgono a un avvocato, che tra le altre cose chiede che sia sentita anche la guardia di finanza, che aveva già ricostruito le repentine transazioni del prof. La richiesta viene negata. Il giudice fa a meno delle risultanze delle Fiamme gialle e si rivolge a un perito, un commercialista, incaricato di verificare i movimenti di denaro e quelle transazioni sospette che spogliarono l’insegnante dei suoi beni, pochi istanti prima della sentenza per le molestie. Il perito se la cava con qualche scontrino e un po’ di carte, ma il lavoro dei finanzieri che aveva portato alla condanna penale sembra non volerlo tenere in alcuna considerazione.
NULLATENENTE
Il risultato è inaspettato e sorprendente, e smentisce le risultanze del processo penale: con la sentenza civile viene revocato il sequestro dei beni del prof (e dei suoi genitori) e condannati a pagare sono inaspettatamente la madre e il padre di Angela, perché lui risulta nullatenente e «mancano i presupposti del sequestro». La cifra è da capogiro per una famiglia che si regge sullo stipendio di un operaio: 40mila euro. Beffa nella beffa: in quei 40mila euro sono ricompresi circa 5mila euro di «danno biologico» che avrebbe patito il padre dell’imputato. Un malore lo avrebbe colto alla notizia della vicenda giudiziaria che inguaia il figlio. La quantificazione del danno è stata eseguita sulla base di un certificato del medico di base.
L’avvocato strabuzza gli occhi: «Una sentenza sconvolgente», dice, annunciando ricorso, mentre il padre, da Facebook, chiede solo «rispetto» per sua figlia. Intanto manca ancora la sentenza della Cassazione sulle molestie e prosegue il processo per frode. Nel frattempo Angela si è impiccata e i suoi genitori rischiano la bancarotta per pagare fior di soldi a chi avrebbe rovinato la vita a loro figlia.