Umberto Gentiloni, La Stampa 2/7/2014, 2 luglio 2014
NEI DIARI DI ANTONIO MACCANICO LA DIAGNOSI DI UN SISTEMA FRAGILE
«Si è rafforzata in me la convinzione che il Paese sia giunto a un livello di degradazione istituzionale e di improvvisazione delle forze politiche da far veramente disperare che se ne possa arrestare la corsa verso esiti sempre più rovinosi», parole che Antonio Maccanico – segretario generale del presidente Pertini – consegna al suo Diario, custode di impressioni e riflessioni, inaugurato nel luglio del 1978 su sollecitazione della moglie Marina. Pagine scritte a mano, in presa diretta con gli eventi, colme di ricordi, retroscena e giudizi di uno degli uomini più accorti della classe dirigente di fine Novecento (Antonio Maccanico, Con Pertini al Quirinale. Diari 1978-1985, a cura di Paolo Soddu, prefazione di Eugenio Scalfari, Mulino, pp. 592, Euro 36).
Figura chiave che accompagna il presidente con l’obiettivo di smussarne gli angoli irascibili di un carattere istintivo e litigioso, poco incline alla mediazione: Maccanico segue Pertini come un’ombra dedicandosi alla funzione di garante del vertice delle istituzioni. «Mi ha colpito l’entusiasmo della gente (da risveglio islamico) – annota nel marzo 1980 durante un viaggio in Puglia – è chiaro che il Presidente è l’incarnazione di ciò che la gente ama e sogna: pulizia, chiarezza, dedizione al bene pubblico». E’ una fase di cambiamenti e trasformazioni, l’impalcatura del lungo dopoguerra scricchiola pericolosamente. Le reazioni sono le più diverse: da un lato chi plaude al cammino di una modernità senza regole, dall’altro chi mette in guardia pensando ai rischi del presente e ai lasciti per le generazioni che verranno.
Il Diario Maccanico è un termometro prezioso, segue da vicino le vicende della politica da un punto di osservazione privilegiato e non disdegna la presa di distanze con giudizi articolati. Sulla trasformazione progressiva del ruolo del presidente: «Questa enorme popolarità di Pertini presenta tuttavia alcuni pericoli non secondari. Il primo è l’approfondirsi del divario, agli occhi dell’opinione pubblica, tra la rispettabilità del Presidente, la pulizia, l’umanità, l’amabilità della sua immagine e la indegnità complessiva della classe politica nel suo insieme. Il secondo è l’accumularsi incessante di aspettative e di soluzioni miracolistiche ad opera del Presidente». Quel divario crescente diventa un cruccio, un segnale di allarme che cresce progressivamente a conferma che i sintomi della crisi del sistema si affacciano ben prima del crollo dei primi Anni Novanta.
Il Quirinale raccoglie tensioni e aspettative. Maccanico si prodiga per la buona riuscita degli incontri di vertice; annota la soddisfazione dopo la visita di Carter, le parole del cancelliere Schmidt sulla funzione internazionale di Pertini: «So che presto andrà in America: lei ha l’autorità politica e morale per parlare a nome di tutta l’Europa»; fino alle delicate questioni di protocollo: «La visita di Reagan è comunque andata benissimo, nonostante il ritardo di 45 minuti col quale Reagan è arrivato dopo la visita al Papa. Il discorso di grande elogio a Pertini rimarrà memorabile. La scorrettezza dei cerimonieri del Vaticano ci rafforzano nell’idea che mai più si dovrà consentire che un Capo di Stato vada prima in visita al Papa e poi si rechi dal Presidente della Repubblica». Scorrono i protagonisti della Repubblica: apprezzamenti per Berlinguer (alla morte del leader Pci Maccanico prende le distanze da Pertini: «Il comportamento del Presidente, giudicato straordinario dai comunisti, comincia a suscitare qualche critica. Mi pare che francamente abbia strafatto e ciò non gli giova») e La Malfa, critiche a Fanfani e Spadolini, stima per Andreotti e conflitto con Craxi sulle politiche e sui comportamenti: «solita cafonata altera l’ordine degli interventi per poter parlare subito e tagliare la corda». Maccanico cerca di limitare l’esposizione mediatica del Presidente, «spesso soggetto a intemperanze».
Quando nel marzo 1981 Pertini concede la sua prima intervista televisiva a Enzo Biagi per Canale 5, Maccanico scrive sconsolato: «Considero questo un grave errore […]. Il Presidente della Repubblica, supremo garante della vita istituzionale, rappresentante dell’unità nazionale, insieme magistrato di persuasione e di controllo non può stare per due ore con un giornalista davanti alle telecamere. Anche se parla della sua vita e delle sue esperienze passate. Rischia di logorare la sua immagine e di esporsi alle accuse di esibizionismo, di stancare i telespettatori, di inficiare il suo prestigio e il suo decoro».
Persino sui mondiali del 1982 affiora un dissidio: «Il presidente ha deciso di recarsi a Madrid per l’incontro di finale tra Italia e Germania, andando contro il mio parere (temevo che il presidente sarebbe incorso in qualche eccesso)». Ma l’esito della sfida mette tutti d’accordo: «Gli eccessi che temevo ci sono stati, ma pare che abbiano contribuito ad aumentare la popolarità del Presidente, o almeno sono stati accolti con simpatia dalla gente, in Italia e all’estero».