Fabio Scuto, la Repubblica 2/7/2014, 2 luglio 2014
ISRAELE PIANGE I SUOI RAGAZZI
Un’intera nazione si è fermata per l’ultimo saluto a Gilad, Eyal e Naftali. I tre ragazzi ebrei che volevano andare a festeggiare la fine dell’anno scolastico con gli amici e sono caduti vittime di una violenza infame, resa ancor più grave dall’età e dall’ingenuità delle vittime. Coloro che non hanno potuto essere qui, su questa collina arsa dal sole, a fianco delle famiglie dei tre ragazzi, i parenti, gli amici, i compagni di scuola, sono a casa, al bar o in ufficio davanti a uno schermo che trasmette la cerimonia in diretta tv. Decine di migliaia di persone affollano il cimitero di questa new town a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv che mai finora aveva visto tante autorità percorrere i suoi viali con il capo mesto, «il cuore colmo di dolore», come ha detto il presidente Shimon Peres arrivando per le esequie. Con lui il premier Benjamin Netanyahu, i ministri del governo, i due gran rabbini d’Israele, personalità con la scorta che faceva largo tra la folla, ma anche tanta gente comune, famiglie, soldati, che hanno voluto essere qui perché toccati nell’animo per un lutto che avrebbe potuto colpire chiunque in Israele.
Eyal, Gilad e Naftali, i “tre figli del popolo”, sono su delle semplici lettighe, avvolti nel tradizionale sudario bianco di tela grezza coperto dalla bandiera bianca e azzurra. È il primo ministro Netanyahu a pronunciare l’orazione funebre. «Un baratro morale ci separa dai nostri nemici» ha detto il premier, «loro celebrano la morte, noi la vita. Loro inneggiano alla crudeltà, noi alla pietà e questa
è la base della nostra forza». Poi le parole di commiato dei familiari e infine — lontano dalla folla — i padri dei tre ragazzi hanno pronunciato insieme il Kaddish, la preghiera dei morti nella liturgia ebraica, mentre i tre ragazzi venivano inumati uno a fianco all’altro nelle tre fosse scavate nella terra ocra di questa collina, come hanno chiesto le famiglie perché restino ancora uniti come lo sono stati nella loro breve vita.
Finiti i discorsi le limousine con la scorta sono schizzate via verso Gerusalemme, dove il premier ha convocato per la seconda volta in 24 ore il Gabinetto di sicurezza per decidere quale risposta militare dare ad Hamas, indicato fin da subito come l’organizzazione dietro il sequestro e l’assassinio dei tre seminaristi di Hebron. La caccia è aperta ai due leader del braccio armato del gruppo islamico palestinese della città che sono diventati i most wanted di tutta la Palestina. C’erano loro nella Hyunday i30 quella sera del 12 giugno. Hanno obbligato i ragazzi a salire sotto la minaccia di una pistola, e quando Gilad ha provato a chiamare la polizia dal suo telefonino, mentre la macchina correva a folle velocità, uno dei due killer ha sparato a bruciapelo a tutti e tre. Ieri è stata tolta la censura sulla telefonata di quella notte che venne registrata dal centralino della polizia, ma giudicata non attendibile. I quattro agenti della sala operativa che non diedero l’allarme ieri si sono dovuti dimettere. Si sente la voce di Gilad che dice: «Siamo stati rapiti, siamo stati rapiti», poi una voce che in ebraico con forte accento arabo urla: «Giù le mani, giù la testa » e dei rumori indistinguibili. Erano i tre colpi che hanno messo fine alle loro vite, una manciata di minuti subito dopo il sequestro. L’auto verrà ritrovata incendiata a una decina di chilometri di distanza il giorno dopo, a bordo i tecnici dello Shin Bet hanno ritrovato un bossolo, tracce di sangue e i segni evidenti di una sparatoria. Particolari che soltanto ieri sono stati resi pubblici.
Dopo le esequie, per il premier Netanyahu è iniziata un’altra lunga notte di discussione nel governo, diviso sulla risposta militare da dare a Hamas, e per ora si è “limitato” ai raid aerei notturni sulla Striscia. Nella notte i raid aerei hanno già colpito 34 obiettivi a Gaza, almeno quattro i palestinesi feriti. Due sono rimasti uccisi in altrettante operazioni dell’esercito in Cisgiordania, uno a Jenin e l’altro a Hebron. Ma in serata da Gaza è partita un’altra salva di missili contro il sud di Israele, è la risposta di Hamas che promette di “aprire le porte dell’Inferno” se Netanyahu attaccherà la Striscia con un’operazione militare su vasta scala. Il governo è diviso. I falchi ultranazionalisti hanno criticato l’esercito e chiesto azioni più dure. Il ministro delle Finanze e leader del partito dei coloni, “Habayit Hayeudi”, Naftali Bennett, ha giudicato troppo blande le opzioni messe sul tavolo dal comando militare e ha elencato otto possibili azioni, alcune delle quali “estreme”: operazione su larga scala, confisca dei beni del movimento islamista nelle banche della Cisgiordania, deportazione, pena di morte.
Luci accese nella notte anche alla Muqata di Ramallah. Il presidente Abu Mazen affronta uno dei momenti più difficili della sua presidenza. Ha condannato il rapimento dei tre giovani israeliani, ha offerto l’aiuto dei suoi servizi segreti, ma ha anche denunciato la deriva delle operazioni militari israeliane in questi giorni, i sei morti, 120 feriti. Ma su di lui sono piovute le accuse di “tradimento” dalla piazza palestinese, dove cova rabbia e delusione, il mix di una protesta che finirebbe per spazzare via ciò che resta dell’Anp.