Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 2/7/2014, 2 luglio 2014
RITRATTO DELLA NUOVA COLOMBIA ALLA VIGILIA DELLA PARTITA CON IL BRASILE NEI MONDIALI DEL 1914
Il 2 luglio 1994 – oggi sono vent’anni – Andres Escobar, difensore della nazionale colombiana considerata la più forte di tutti i tempi, veniva assassinato per un’autorete. Neppure Garcia Marquez, venerato genio del luogo, avrebbe concepito una trama altrettanto visionaria e crudele. Escobar, omonimo del capo dei narcotrafficanti, era diventato il simbolo della disfatta, infilando nella propria porta il gol che aveva qualificato i detestati gringos (Colombia-Stati Uniti 1 a 2). L’assassino, Humberto Muñoz Castro, fu condannato a 43 anni di carcere. Qualcuno disse che era pazzo e ubriaco, qualcuno che era un sicario dei narcos, che avevano patriotticamente scommesso sulla Colombia e perso un sacco di soldi.
Era il tempo in cui a Sud di Panama il mondo pareva impazzito. Il presidente della Federcalcio, Bellini, si dimetteva dopo che la polizia aveva scoperto i suoi affari con i mercanti di cocaina. Higuita, il portiere che tirava le punizioni e dribblava in area, finiva in carcere per aver mediato tra i familiari di un rapito e i rapitori. Alla fine il più normale era Tino Asprilla, che prosperava a Parma grazie ai trucchi contabili di Tanzi, girava con la pistola e sparava a Capodanno. Segni di una malattia all’apparenza incurabile: la Colombia era ostaggio dei narcos, dei miliziani di estrema destra, dei guerriglieri marxisti delle Farc.
Poi qualcosa è cambiato. Il presidente Alvaro Uribe ha imposto la linea dura, decimando terroristi di ogni fazione (le Farc hanno perso 12 mila uomini) e smantellando il famigerato cartello di Medellin. Il suo successore José Manuel Santos, un centrista in quella zona rossa che è ora il Sudamerica – da Chavez a Dilma, da Mujica alla Bachelet, dal cocalero Evo Morales alla Presidenta Kirchner, peronista che ama nazionalizzare –, ha scelto la via del dialogo, e dopo la liberazione di Ingrid Betancourt e di altri ostaggi ha aperto un negoziato con Rodrigo Londoño, detto Timoléon Jimenez o Timochenko, il temuto capo delle Farc. Il record di omicidi appartiene ora al Messico. I rapimenti sono passati dai 3.572 dell’anno 2000 a meno di 300. Tra i Paesi sudamericani, negli ultimi vent’anni la Colombia ha avuto la maggior crescita economica: caffè, riso, cotone, banane, cacao. Qui c’è il più grande giacimento di carbone del continente, qui hanno investito la Renault, la Chevrolet, la Mazda.
Intendiamoci: la Colombia non è la Svizzera, e neppure l’Italia. Ma è un Paese giovane. Vitale. Meticcio: indios, colonizzatori spagnoli, neri si sono uniti ai figli dell’immigrazione europea. È la cerniera tra l’America centrale e il Sud del continente. Ha un rapporto preferenziale con gli Stati Uniti. Con quasi 50 milioni di abitanti, è il secondo Paese del Sudamerica dopo il Brasile, l’unico ad affacciarsi sia sul Pacifico sia sull’Atlantico. E ha un potenziale di sviluppo inesplorato, visto che è grande quasi quattro volte l’Italia.
Qui in Brasile la Colombia è arrivata davvero con la sua nazionale più forte di tutti i tempi. Meno esibizionista rispetto a quella di Rincon, Valencia detto El Tren, Higuita, Asprilla e Valderrama, regista che incedeva a passo di danza (lenta). James Rodriguez, con cinque gol in quattro partite, è il capocannoniere del Mondiale, e sta per diventare milionario: ha lasciato il Porto per il Monaco dell’oligarca Rybolovlev. In Portogallo è rimasto il centravanti Jackson Martinez, che qui fa la riserva. Inamovibile invece Juan Cuadrado. Altri italiani: Guarin, Yepes, Zuniga, Armero, Zapata, Ibarbo. Il ct argentino José Pekerman si è pure preso il lusso di mandare in campo il più vecchio giocatore mai visto ai Mondiali, il portiere di riserva Faryd Mondragon, 43 anni. Non convocato Muriel, l’ala dell’Udinese; rimasta a casa pure la stella, il centravanti Radamel Falcao detto El Tigre, infortunato. E i giovanissimi sono ancora meglio: hanno vinto la Coppa America under 20.
La Colombia ha un gioco agile e veloce, aggressivo e coraggioso. Non è una squadra imbattibile. Ma ha fatto fuori senza grandi difficoltà l’Uruguay che aveva eliminato gli azzurri, e ora spaventa i padroni di casa, che dopodomani la affrontano a Fortaleza. I brasiliani tifavano Colombia per non ritrovarsi contro gli uruguagi: già a Copacabana si erano visti i primi tifosi della Celeste con la scritta «1950» sul petto, a ricordare la grande vittoria di Schiaffino e Ghiggia al Macaranà. La Colombia invece è seguita con simpatia, anche perché i «cafeteros» qui scendono nei grandi alberghi, prenotano banchetti omerici nelle churrascarias, insomma spendono volentieri i loro freschi quattrini, mentre gli uruguagi sono già rientrati e gli argentini si accampano in tende di fortuna alla periferia delle città dove gioca Messi. Ma in vista dei quarti di finale i tremebondi brasiliani cominciano ad avere paura della giovane Colombia. E non hanno torto.