Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  luglio 01 Martedì calendario

“CSM SCONCERTANTE: LE REGOLE VALGONO PURE PER I CAPI”

[Intervista a Ferdinando Pomarici]

Un procuratore non può “non rispettare le regole che egli stesso si è dato”. Il Csm nella vicenda Robledo-Bruti ha proceduto “in modo sconcertante”. Il capo dello Stato è intervenuto con una lettera che, se afferma che un procuratore può non rispettare le regole, “non è condivisibile”. Parla Ferdinando Pomarici, uno dei magistrati più autorevoli della Procura di Milano.
Qualcuno in procura sostiene che il conflitto tra l’aggiunto Alfredo Robledo e il suo capo Edmondo Bruti Liberati non avrebbe dovuto uscire all’esterno. Insomma, “i panni sporchi si lavano in casa”?
I tentativi di comporre le contese ci sono stati, ma infruttuosi. È una situazione che si trascina da lungo tempo, la decisione di inviare un esposto al Csm non è stata improvvisa. In questa vicenda si sommano un contrasto oggettivo, cioè due visioni diverse della organizzazione della Procura, e uno soggettivo, cioè rapporti personali non buoni.
Colpa del nuovo ordinamento giudiziario del 2006 che ha dato troppi poteri al procuratore e gerarchizzato le procure?
La riforma ha ribadito quanto era già stabilito dall’ordinamento giudiziario precedente. L’ufficio di procura è sempre stato un ufficio gerarchico e il procuratore della Repubblica è sempre stato il titolare dell’azione penale. Non c’è stato uno stravolgimento totale, il potere del procuratore è stato solo rafforzato. Ma ciò non significa che il procuratore abbia un potere assoluto. Vi sono comunque regole organizzative che bisogna prevedere e rispettare. Anche a Milano ci sono, se le sono date il procuratore e l’ufficio.
Che cosa non ha funzionato?
Le regole vigenti al momento dei fatti lamentati da Robledo non sono state rispettate. Penso che sia avvenuto perché non c’è feeling, rapporto di fiducia reciproca tra il procuratore e il suo aggiunto. Il modello organizzativo della procura di Milano prevede che i reati contro la pubblica amministrazione, per esempio, debbano essere assegnati al dipartimento guidato da Robledo, e questo per alcuni procedimenti non è avvenuto. C’è anche una clausola di salvaguardia: il procuratore può derogare ai criteri predeterminati con un provvedimento motivato. Ma anche questo non mi risulta sia stato fatto.
Perché? Il procuratore ha più fiducia in altri aggiunti?
È un’ipotesi che mi pare sicuramente plausibile.
E il fascicolo Sea dimenticato in
Questo episodio è chiaramente diverso dalle altre violazioni delle regole organizzative. Sembra un fatto accidentale, frutto di una decisione specifica del procuratore di trattare quel fascicolo in un modo specifico, diverso da come le regole prevederebbero.
Dimenticanza o scelta?
Non sono in grado di dare una risposta. Ma non è questo il vero problema. Perché non mi risulta che siano avvenuti trattamenti di favore nei confronti di Tizio o Caio. Non discutiamo se l’ufficio di procura abbia agevolato o danneggiato specifici cittadini: io escludo che questo sia avvenuto a Milano. La procura ha svolto negli ultimi 30-40 anni un lavoro eccezionale e io ne sono fiero. Il problema è che le regole non devono essere violate, qualunque sia il risultato ottenuto.
Le regole organizzative.
Sì. L’ordinamento giudiziario dà una direttiva: l’azione penale è esercitata dal procuratore della Repubblica. Prima si diceva tramite “delega”, poi si è mitigato con l’“assegnazione” dei procedimenti. Ma questo principio generale deve essere riempito con la normativa secondaria, che lo concretizza e specifica. Ed ecco la necessità di creare modelli organizzativi. Potrebbe esistere anche un modello in cui il procuratore si riserva di assegnare personalmente, di volta in volta, ogni fascicolo. Questo sarebbe materialmente impossibile a Milano, che tratta ogni anno 100 mila procedimenti contro ignoti e 30 mila contro noti. Comunque non è il modello che l’ufficio s’è dato. C’è invece un modello d’assegnazione automatica per materia ad alcuni dipartimenti, con il procuratore aggiunto che poi assegna il fascicolo ai suoi sostituti. C’è la possibilità di deroga, in situazioni specifiche, che deve essere motivata: questo perché i magistrati, ma soprattutto i cittadini, hanno il diritto di sapere a chi e perché i fascicoli vengono assegnati.
Una deroga è quella dell’Area Omogenea Expo.
È una norma transitoria (l’Expo avverrà e poi finirà) e ancora da precisare. Per esempio: una violenza sessuale ai danni della dipendente di un’azienda che lavora per Expo va sottratta al dipartimento che si occupa di reati sessuali? Direi di no, conoscendo il buon senso di Bruti so che non tratterrebbe per sé un procedimento simile.
E il divieto a Robledo di interrogare indagati per Expo?
Non ho mai visto prima una imposizione di questo tipo.
Il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, ha anticipato in un’intervista – quando le commissioni del Consiglio stavano ancora discutendo – il giudizio favorevole a Bruti “dopo un colloquio con il capo dello Stato”.
Credo che sia stata una presa di posizione del tutto inopportuna. Penso che sia ancora esercitabile, in questo Paese, il diritto di critica. Ma Vietti non è persona sprovveduta, bensì accorta e di lunga esperienza: se quell’intervista è stata rilasciata, evidentemente c’era un motivo ben preciso.
La spinta del capo dello Stato? Il Csm ha poi cambiato, nel plenum, le decisioni delle commissioni dopo una lettera “non ostensibile” scritta dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Sconcertante. Il Csm è un organo collegiale, presieduto dal capo dello Stato. Le decisioni si prendono a maggioranza, previo confronto fra tutte le opinioni. Certamente l’opinione più autorevole è quella del capo dello Stato che è anche presidente del Csm, ma è una delle opinioni e non escludo che possa anche cambiare, dopo aver partecipato al dibattito e ascoltato gli altri consiglieri: so che questo è anche avvenuto, in passato. La decisione si prende a seguito di una discussione e poi di una votazione. Questa volta non è avvenuto. Le proposte di commissione sono state modificate all’esito di una missiva del capo dello Stato definita “non ostensibile”. Ritengo questo modo di procedere sconcertante. Il Csm ha modificato il proprio orientamento sulla base di una valutazione assolutamente legittima, ma che il Csm neppure conosceva, visto che aveva solo un’indicazione, ma non possedeva le argomentazioni. Un metodo sicuramente anomalo.
Poi la lettera “non ostensibile” ha avuto la sua “ostensione”.
Già. Se dunque non vi erano motivi per tenerla segreta, tanto che è stato il Quirinale stesso a renderla pubblica, perché questo non è avvenuto prima che il Csm decidesse? Non vedo motivi logici. Nel merito condivido in larga parte le argomentazioni del presidente, ma una parte non mi convince. Quando scrive: “Ciò che deve caratterizzare gli Uffici di procura è l’impersonalità e l’unitarietà della loro azione, sicché i criteri organizzativi di ogni singolo ufficio requirente non possono essere intesi come rigide regole immodificabili, in quanto deve sempre consentirsi una equilibrata elasticità nella loro applicazione, volta sempre al miglior esercizio dell’azione penale da parte dell’Ufficio nel suo complesso”. Che cosa significa? Se vuol dire che il procuratore può decidere il modello organizzativo, sono d’accordo. Ma se vuol dire che il procuratore, stabilito il modello organizzativo, può poi non rispettarlo, mi permetto di dissentire . Il procuratore deve far rispettare le regole agli altri, dunque non può non rispettare le regole che egli stesso si è dato.
Bruti l’ha criticata per aver consegnato al Csm due lettere da lei scritte al procuratore nel 2010, in cui esprimeva critiche per la nomina nel pool antimafia di una magistrata senza titoli e per l’assegnazione del fascicolo Ruby a Ilda Boccassini, cioè a un dipartimento diverso da quello stabilito dalle regole.
Mi spiace per la reazione di Bruti. Ho consegnato le mie due lettere (non le sue) dietro richiesta dei membri del Csm. Le ho scritte quattro anni fa e per tutto questo tempo sono rimaste riservate. Sono finite sulla stampa non appena le ho consegnate al Csm, che non esce benissimo da questa vicenda.
Nelle lettere, lei rimprovera a Bruti di aver dimenticato una delle battaglie di Magistratura democratica, di cui Bruti è un esponente autorevole.
Sì, ricordavo che Md era stata critica sulle “auto-assegnazioni”, ma che stavolta era stata violata “una norma che ha costituito per anni un cavallo di battaglia di Magistratura democratica, proprio per evitare il fenomeno delle assegnazioni pilotate”.

Gianni Barbacetto, il Fatto Quotidiano 1/7/2014