Paolo Mastrolilli, La Stampa 1/7/2014, 1 luglio 2014
UN LAVORO DI SEI MESI MA I COMPONENTI NON TOCCHERANNO TERRA
Un’operazione che durerà circa sei mesi, e si concluderà con l’incenerimento delle scorie in Gran Bretagna, Germania e forse Danimarca. Questo è il percorso previsto dalla Opcw per la distruzione delle armi chimiche siriane, che domani compirà il primo passo, in teoria il meno pericoloso, nel porto di Gioia Tauro.
In base all’accordo raggiunto da Damasco con l’Onu e l’organizzazione basata all’Aja, il regime ha consegnato circa 1.300 tonnellate di sostanze tossiche, in ritardo rispetto alla tabella di marcia prevista. Le armi sono state trasferite dai circa venti depositi all’interno del paese nel porto di Latakia, dove sono state caricate su due navi scandinave. Per diversi mesi hanno aspettato in mare che la consegna fosse completata, ma domani arriveranno a Gioa Tauro per l’appuntamento con la nave militare americana Cape Ray, dove i materiali verranno distrutti utilizzando il Field Deployable Hydrolisis System.
La parte italiana dell’operazione riguarda solo il trasferimento dei materiali. Le armi sono arrivate a Latakia nei loro contenitori originali, che dovrebbero essere stati ispezionati per confermarne la natura e la quantità. A quel punto sono state trasferite dentro altri contenitori, usando la procedura del triple jacket. In pratica ogni sostanza è stata custodita con tre strati di protezione. I materiali erano di circa trenta tipi diversi, dal sarin all’iprite, e quindi hanno subito trattamenti differenti, suddividendo le quantità troppo ampie. Una volta sistemati tutti nei loro fusti, hanno cominciato il viaggio verso l’Italia.
Il trasferimento avverrà senza depositare le sostanze sul nostro suolo, da nave a nave, ma è probabile che venga impiegato un molo considerato internazionale. I contenitori non saranno aperti, e quindi il rischio più alto che corriamo è solo la possibilità di un qualche incidente meccanico, che ne faccia cadere uno. In questo caso esistono procedure di emergenza diverse a seconda della sostanza, per evitare la contaminazione dell’ambiente e proteggere il personale impegnato nell’operazione.
Una volta completato il trasferimento, la Cape Ray lascerà Gioia Tauro per andare nel mezzo del Mediterraneo a procedere con la distruzione dei materiali. Il metodo usato sarà l’idrolisi ad alta temperatura, con l’uso di catalizzatori. Le sostanze chimiche verranno inserite nel Filed Deployable Hydrolisis System, che le degraderà attraverso l’acqua calda ad alta pressione. Per capire questo processo bisogna immaginare che le armi sono costituite da diversi materiali, uniti come i mattoncini del lego. Lo scopo non è solo quello di separare i mattoncini, cioè le molecole, ma di romperli, in modo che non possano essere ricostituiti.
Le scorie generate non avranno più le caratteristiche distruttive delle armi, ma saranno ancora acide e tossiche. A quel punto quindi comincerà un altro viaggio, sempre via mare, che le condurrà al porto di Ellsmere, in Gran Bretagna, e in Germania. Anche la Danimarca e altri paesi si sono offerti di aiutare questo ultimo passaggio, che dovrà ulteriormente degradare le sostanze. Verranno trasportate negli inceneritori, per eliminarle in maniera definitiva.
L’intera operazione, dal trasferimento che comincerà domani a Gioia Tauro, fino alla distruzione finale delle ultime sostanze, richiederà tra quattro e sei mesi di tempo. Attività simili sono già state condotte in passato e le misure di sicurezza sono sperimentate. La parte che avverrà in Italia in teoria è la meno delicata, perché si tratterà solo di effettuare un trasferimento dei contenitori, senza aprirli. Una operazione di questo genere poteva avvenire anche in mare, ma sarebbe stata più rischiosa. Quindi è stata preferita la sicurezza del riparo offerto da un porto. Partecipare al processo internazionale per la distruzione delle armi chimiche di Assad, però, darà al nostro Paese dei meriti politici evidenti, che assumono ancora più importanza alla luce di quanto sta succedendo in Siria e in Iraq.
Paolo Mastrolilli, La Stampa 1/7/2014