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 2014  luglio 01 Martedì calendario

CANONE ANCHE PER LA TV IN SALA D’ATTESA


Non è la prima volta. E certamente non sarà nemmeno l’ultima. È stato così due anni fa e ora siamo alle solite: nel 2012 la Rai chiedeva il pagamento del canone ai possessori di Pc e tablet, ora a partite Iva e pubblici esercizi. Oggi come allora l’errore non c’è, ma c’è «la richiesta per il rispetto di una legge». Che esiste ma che migliaia d’italiani ignorano, e molti di più fanno finta di non conoscere. Già, perché la norma del «canone speciale» (407,35 euro) non è proprio una novità, e prevede che a pagarla siano i «pubblici esercizi». Certo, non tutto è pubblico esercizio (e non tutti fanno pubblico esercizio, ed infatti esiste una classificazione di chi deve o non deve pagare), e per questa ragione, forse, «il pasticcio comunicativo» - per dirla come il sottosegretario Leginini - «poteva essere evitato». Ma di fatto, la norma c’è e la Rai non può far altro che attuarla e bussare a denari.
Che c’entra, però, l’esercito delle partite Iva con migliaia di bar, locali all’aperto, ristoranti o hotel? In realtà c’entrano perché anche molti liberi professionisti che esercitano attività pubblica possono intrattenere nelle loro sale d’attesa, nei loro centri o studi privati, i loro clienti con la Tv e i programmi Rai. Tant’è che la legge, chiarisce una nota dell’azienda, stabilisce che «devono pagare il canone speciale coloro che detengono uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radio televisive in esercizi pubblici, in locali aperti al pubblico o comunque fuori dell’ambito familiare, o che li impiegano a scopo di lucro diretto o indiretto».
Va da sé che nulla è dovuto per le centinaia di migliaia di possessori di Pc, tablet personali, a patto che non siano dotati di una WilTv collegata ad una antenna digitale o satellitare per la diffusione (non personale) del servizio. Per loro, insomma, niente tassa al di là della loro attività. Ma la polemica, naturalmente, non si placa. E cresce ogni volta che c’è di mezzo il canone e la Rai, nonostante la tv pubblica italiana sia quella con l’imposta più bassa d’Europa e l’evasione pesi per circa mezzo miliardo nelle casse di viale Mazzini. Gridano allo scandalo Cna e Confartigianato ma anche mezzo emiciclo parlamentare: tutti contro l’«odiosa tassa». E così, l’azienda pubblica prende carta e penna e scrive: le lettere recapitate sono solo comunicazioni prive di connotati precettivi nelle quali si invita il destinatario a fare il versamento solo quando ricorrono i presupposti». Come a dire: se non ci sono, dunque, nulla è dovuto. L’iniziativa «aiuterà» la Tv pubblica e recuperare quel 26% di evasione della tassa? Chissà. Per ora, viste la polemiche, osserva il sottosegretario allo Sviluppo economico, Antonello Giacomelli, «dopo quello che è successo sono ancora più convinto che occorra una riforma radicale del canone». Già, perché, «abbiamo ereditato un sistema che fa oscillare continuamente la percezione di ogni iniziativa dal vessatorio verso i cittadini al tollerante nei confronti degli evasori». Che, al di là della crisi, vivono e continuano a a guardare la Tv pubblica senza, però, pagarla. Sono tanti, e crescono. Ed, infatti, a fronte di un gettito stimato di circa 1,7 miliardi ogni anno all’appello mancano circa 500 milioni, euro più euro meno. Più di tre volte di quanto alla rai mancherà per effetto del decreto Irpef sugli 80 euro, più del doppio di quanto al Tv pubblica spenderà in fiction nel prossimo triennio.
Cifre considerevoli che condizionano l’impegno della Rai non solo sul fronte degli investimenti tecnologici, ma anche su quello più specificatamente editoriali. Cifre delle quali, però, chi ha ricevuto le lettere a casa non vuol sentir proprio parlare.

Paolo Festuccia, La Stampa 1/7/2014