Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  luglio 01 Martedì calendario

NELL’UE BLOCCATA DAI VETI ANCORA FERMA LA PROPOSTA SULLE GUARDIE DI FRONTIERA


Lunedì scorso, a tre giorni dal Consiglio europeo di Ypres, gli sherpa tedeschi impegnati nel negoziato preparatorio hanno messo in circolo fra i colleghi la loro versione del testo di conclusioni. Era la bozza che rimbalzava fra le rappresentanze da una settimana, salvo che il paragrafo sull’immigrazione era parecchio modificato. In particolare, la frase che invitava a studiare la possibilità di istituire un sistema comune di Guardie di frontiera era stata cassata. «Non la vogliono - diceva un diplomatico -, sostengono che è responsabilità dei singoli e che tale deve restare». Inutile spiegare che i confini sono comuni, argomentava: «Da quella parte non ci sentono».
L’Italia si batte da tempo perché il confine esterno dell’Europa sia considerato un affare per tutti e non è sola. Il dibattito europeo su come gestire i flussi migratori è diventato però uno scontro fra blocchi che hanno metà ragione e metà torto. È un duello fra chi salva la gente in mare di tasca sua ma non si impegna davvero per accogliere i rifugiati, e chi pratica una politica sostanzialmente contraria. Nel primo gruppo c’è Roma, nel secondo Berlino e le altre capitali del nord. In mezzo, il problema di un’ondata di disperati che, per massima parte, fugge da guerre e orrori che nessuno sa veramente come risolvere.
Nella due giorni di summit svoltosi fra Ypres e Bruxelles i tedeschi hanno perso mezza battaglia almeno. L’idea delle Guardie di frontiera è rimasta nelle conclusioni, ora dovrà essere «studiata», il che è almeno un inizio ma non avvicina il finale. In compenso sono riusciti a far saltare la frase che suggeriva di «esplorare il mutuo riconoscimento delle politiche di asilo». Fra la bozza e il testo finale il documento è stato alleggerito. Secondo Berlino andava troppo in là.
La contesa sulle parole illustra il malumore generalizzato, è lo specchio della difficoltà di accomodarsi davanti al dramma, va in scena il tutti contro tutti. Il capello sta nella frase, approvata dal Consiglio, che indica la strada da battere: «Occorre adottare un approccio globale che ottimizzi i benefici della migrazione legale e offra protezione a coloro che ne hanno bisogno, affrontando nel contempo con decisione la migrazione irregolare e mettendo in opera una gestione efficiente delle frontiere esterne dell’Ue». Sul come, non c’è accordo.
Il vertice Ue ha sostenuto che occorre una «piena attuazione delle azioni individuate dalla task force Mediterraneo». L’Italia difende a Bruxelles la richiesta di mettere in qualche modo la bandiera uno su «Mare Nostrum», che a noi costa 9 milioni al mese. La Commissione promette che si stanno cercando nuovi fondi, mentre al Nord non vogliono pagare di più. La voce ufficiale recita che «Frontex, in quanto strumento della solidarietà europea nel settore della gestione delle frontiere, dovrebbe rafforzare la sua assistenza operativa, in particolare per sostenere gli Stati esposti a forte pressione alle frontiere esterne». Era il punto di avvio che cercava l’Italia. E allora, visto che il prossimo consiglio Interni Ue è fra tre mesi, la nostra presidenza potrebbe spingere per una riunione straordinaria. «È possibile - dicono fonti diplomatiche -. Ma occorre un margine sicurezza di poter avanzare». Davvero?

Marco Zatterin, La Stampa 1/7/2014