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 2014  luglio 01 Martedì calendario

IL FASCINO MISTICO DEI RIGORI NON CHIAMATELA PIÙ LOTTERIA


RIO DE JANEIRO
Erano il castigo, la scalogna, l’ingiustizia. Il destino appeso al caso, la pugnalata alle spalle. La smentita a Einstein: «Lassù qualcuno gioca a dadi». Per chi ama il cinema, la versione sportiva de “Il Settimo Sigillo” di Ingmar Bergman. Erano la sciagura, il tradimento, il pallone travestito da infame. La negazione del gioco. Anzi, il suo plotone d’esecuzione. I rigori erano il momento più bastardo del calcio. Per questo tutti i grandi li avevano sbagliati: Platini, Maradona, Baggio. La loro era un’avversione al facile e allo scontato, da geni della fisica, non maestri di matematica. La palla è movimento fresco, mica azione congelata, da servire surplace. Ma in questi mondiali tutto è cambiato: i rigori da coda bislacca e posticcia sono diventati un magnifico ultimo atto. La ciliegina da gustare dopo il gelato.
Fa niente se secca la gola o se va di traverso. Come ha spiegato bene Francesco Totti, rigore al 95’ contro l’Australia ai mondiali in Germania: «È un momento dove vedi il portiere grosso grosso e la porta piccola piccola». E l’olandese Huntelaar, suo il rigore decisivo e chirurgico al 94’ contro il Messico, ha aggiunto: «È adrenalina pura, la droga migliore al mondo». Per la prima volta già due ottavi di finale sono stati decisi dal dischetto. Il cambiamento è evidente, ora con i rigori va di scena una rappresentazione a metà tra il mistico e il pagano. La squadra che si raduna a centrocampo, che si mette a cerchio, le riserve che massaggiano i giocatori, le preghiere insieme, i cori, l’attimo di raccoglimento, tutti che baciano santini, foto dei figli, portafortuna, che s’incoraggiano, che piangono, come li aspettasse l’assalto alla trincea nella Grande Guerra. Intanto il ct avanza con il foglietto e con la sequenza di chi deve tirare. Sei stato nominato, perché l’industria del calcio non è più naif e ha bisogno che la sua manodopera sia specializzata anche nel cesello finale. Non c’è azzardo, ma programmazione. Per questo Zico se la prende con Neymar e soci che piangono cascate: «Non sono mica all’asilo, siano più professionali».
E un vecchio campione del mondo come Carlos Alberto, Messico ‘70, inorridisce davanti al comportamento di Thiago Silva durante i tiri dal dischetto contro il Cile: «È il capitano, deve incoraggiare gli altri, non dare le spalle alla porta, estraniarsi, lacrimare e pregare. Ma dove siamo?».
Trentadue anni dopo la loro prima volta i rigori post-supplementari, acquistano finalmente nobiltà e professionalità. Non sono la parte sbagliata del calcio, solo quella più estrema, dove finisce tutto. Esordirono a Siviglia nella semifinale Francia-Germania dell’82, quella dove Horst Hrubesch, che non voleva tirare il sesto rigore, si ricordò che nell’armadietto degli spogliatoi aveva trovato incollata una foto di Gesù, e allora pensò: «Oggi non ci può accadere nulla di male perché Gott Mit Uns». Si sa, i crucchi non dubitano, spesso a ragione, e fece centro. Anche perché Hidalgo, ct francese, non aveva predisposto nessuna lista: «Faremo come viene». Una volta era così, lo scollamento era evidente, c’era la partita e poi quell’inciampo del destino. È noto che Roberto Falcão nella finale di Coppa Campioni contro il Liverpool nell’84 non volle tirare. Forse non si sa che Joe Fagan, l’allenatore dei Reds, ai suoi disse: «Fate come vi pare».
Adesso l’ultimo atto non consente ingenuità. Il rigorista casual non va più. E il ct argentino Alejandro Sabella ha deciso di aumentare la sessione dal dischetto ai suoi. «Anche se in allenamento è completamente diverso». E Costarica e Grecia hanno tirato in maniera perfetta, solo una manata con pazzesco scatto di reni di Navas ha impedito il gol a Gekas. Anche se Huntelaar che ha qualificato l’Olanda nei quarti dice di essere andato da Robben a chiedergli: «Ti dispiace se lo tiro io il rigore?». Doveva perdonare a se stesso i tre tiri dal dischetto sbagliati in Bundesliga, due quest’anno. Altro che finale horror alla Dario Argento, ora i rigori sono meglio del Crazy Horse.

Emanuela Audisio, la Repubblica 1/7/2014