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 2014  luglio 01 Martedì calendario

IL ROGO DELL’IMPIEGATO MARTIRE A TOKYO PER LA COSTITUZIONE CHE COSTRUÌ LA PACE


Un weekend di ordinario shopping nel quartiere di Shinjuku a Tokyo. Un uomo sulla sessantina impeccabilmente vestito in giacca e cravatta dall’alto di in cavalcavia urla in un megafono accuse contro il governo e contro il primo ministro Shinzo Abe che intende far approvare una legge per la revisione della Costituzione pacifista del Giappone. La gente che passa pensa che sia ubriaco, infatti ha con sé bene in vista due bottiglie. O pazzo.
Quando i pompieri gli si avvicinano con una scala, l’uomo si versa il contenuto delle bottiglie addosso e si dà fuoco. Lo portano in ospedale, forse si salverà. Una scarna cronaca se non fosse che sul luogo dove vi è stato il rogo una folla anonima ha subito portato fiori, improvvisati volantini sono stati distribuiti da uomini e donne comuni che si trovavano lì per caso, in uno dei quartieri più popolosi della capitale. Scrivono che è un «martire», che si è immolato per una giusta causa. Sono di sinistra, commenta qualcuno. No, sono di destra, controbattono altri per i quali il suicidio, questo tipo di suicidio per una causa, è sempre stato di destra, anzi, di estrema destra. Poche ore dopo il fatto, la polizia ha comunque rimosso fiori e volantini, ripulito il luogo del misfatto, come se non fosse successo niente e il sacro shopping potesse continuare. La stampa giapponese ha dato scarso rilievo a questa protesta estrema che riporta pericolosamente alla mente cosa è successo in Tibet, in Tunisia, a Saigon quando i monaci buddisti si immolavano col fuoco negli anni Sessanta.
L’uomo per ora non ha un nome né un’appartenenza politica. Dall’abito che indossava lo si direbbe appartenente alla classe dei sararymen, gli impiegati, la maggioranza delle formiche che hanno reso prospero il Giappone nel dopoguerra, un paese che secondo un’opinione diffusa ha potuto prosperare grazie alla rinuncia e alla denuncia del suo passato guerrafondaio, anche se i rigurgiti nazionalisti non sono mai mancati. Basti pensare al seppuku rituale del grande Mishima, nel 1970, che intendeva imporre al paese il ritorno agli antichi valori samuraici.
Oggi però il Giappone è un paese dove la maggioranza della popolazione (il 55 per cento secondo un recente sondaggio) si oppone alla proposta di revisione costituzionale voluta dal primo ministro Abe ed è orgogliosa della propria Costituzione che, per il fatto di rinunciare con l’articolo 9 alla guerra e a possedere esercito, marina e aviazione militare, non ha eguali al mondo. È vero che è stata dettata dagli americani dopo la guerra, ma è anche vero che ormai è come connaturata allo spirito del nuovo Giappone al punto che un comitato di cittadini aveva tentato di candidarla al Nobel per la Pace l’anno scorso e quest’anno ha riproposto la candidatura non più della Costituzione pacifista nipponica ma dell’intero popolo giapponese che per settanta anni l’ha rispettata e salvaguardata. Per settanta anni le minacce di revisione costituzionale non sono mai mancate, ma è in questi ultimi tempi, con il ritorno al potere di Shinzo Abe al suo secondo mandato, che il pericolo si palesa imminente.
Nel 2006 Abe aveva fallito già una volta nel tentativo di revisione costituzionale, ma ora ha ottenuto un successo riuscendo a far approvare un aumento del bilancio da destinare alle forze di “autodifesa”, come si definisce il para-esercito che il Giappone è autorizzato a mantenere.
I motivi per cui Abe intende abolire l’articolo 9 della costituzione sono palesi: la situazione internazionale è mutata, la Cina è emersa come grande potenza, l’ombrello americano forse non basta più. Il Giappone ha diritto a un proprio ruolo attivo soprattutto nello scenario del Pacifico. Sono questi i temi che la propaganda governativa e la stampa più conservatrice si impegnano a fare presenti a un’opinione pubblica scossa dai tragici avvenimenti seguiti allo tsunami e che si professa sempre più pacifista.
Resta da vedere se questo ennesimo «attentato alla Costituzione» — come lo definiva l’uomo che a Shinjuku si è dato fuoco rivelando una non sopita passionalità estremista in un popolo che nell’era moderna ha conosciuto la tragedia dei kamikaze — avrà successo. Dicono che questa volta è estremismo di sinistra, comunque si tratta sempre di un segnale che dovrebbe far riflettere i parlamentari chiamati domani a emendare prima l’articolo 96 che prevede la possibilità di modificare la Carta costituzionale soltanto a maggioranza qualificata. Questa maggioranza di due terzi Abe la ha soltanto alla Camera bassa, non nell’altro ramo del Parlamento. Soltanto dopo questo primo passo si potrà passare all’articolo 9, ma la strada è in salita.

Renata Pisu, la Repubblica 1/7/2014