Federico Fubini, la Repubblica 1/7/2014, 1 luglio 2014
COSTA CARA L’INFLAZIONE ZERO 17 MILIARDI IN PIÙ ALL’ANNO PER STABILIZZARE IL DEBITO
Quei 129 minuti dicono qualcosa dell’Italia oggi. Alle undici esatte di ieri mattina è uscito sugli schermi degli operatori il dato dell’inflazione. L’Istat fa sapere che è scesa allo 0,3% annuo, mai così giù da quando nel 2009 l’economia globale era paralizzata dallo shock di Lehman. In quel momento il principale indice di Piazza Affari stava salendo da circa mezz’ora ma ha subito invertito la rotta perdendo lo 0,8%.
È stata una lunga caduta fino alle 13.09: anche la Borsa ha paura della gelata sui prezzi. Mai prima in questa lunga crisi i mercati avevano reagito tanto ai numeri d’inflazione, né mai lo avevano fatto così. Che succeda ora, segnala che questa è la storia che seguono e la fonte dei loro timori. Perché più si riduce l’inflazione, più cresce il peso reale dei debiti pubblici e privati.
Quando l’inflazione scende a zero, schiaccia i debitori che non l’avevano messo in conto quando hanno assunto i loro oneri. Solo negli ultimi quattro anni il governo italiano ha emesso titoli per oltre 1.500 miliardi di euro, offrendo tassi d’interesse che davano per scontato un carovita ben più alto di quelli di oggi. I due aspetti, tassi e prezzi dei beni al supermarket, sono legati. Poiché l’inflazione deprezza il potere d’acquisto del denaro, riduce il valore reale di un debito quando questo va rimborsato a scadenza. Il carovita erode anche il tasso d’interesse reale che un debitore paga ogni anno. E dà una mano al governo anche in un terzo modo, determinante ai fini del Fiscal Compact e delle regole europee di finanza pubblica: dato che inflazione aumenta il prodotto interno lordo espresso in numero di euro — benché non in valore reale — aiuta anche a limare la proporzione fra debito e Pil.
Tutto questo spiega la sterzata della Borsa di ieri alle 11, perché con gli aumenti dei prezzi vicini a zero i debiti in Italia stanno diventando più pesanti rispetto alla taglia dell’economia. Non doveva andare così. Come gli altri Paesi europei, l’Italia si è impegnata nel Fiscal Compact alla riduzione del rapporto debito- Pil sulla base di uno scenario del tutto diverso. L’obiettivo dell’area euro che la Bce si è assegnata sarebbe un’inflazione «vicina ma sotto al 2%». In giugno invece ha viaggiato allo 0,3% in Italia e allo 0,5% in zona euro e per ora è difficile che cambi molto: giorni fa Unicredit ha definito le recenti misure prese dell’Eurotower per sospingere i prezzi «di aiuto ma non tali da fare la differenza».
Osservare le regole europee sul debito in queste condizioni comporta uno sforzo completamente diverso dal farlo nel caso in cui anche l’obiettivo d’inflazione fosse rispettato. Ora è difficile e le manovre dovrebbero essere più pesanti. Paolo Manasse dell’Università di Bologna ha fatto i conti, sulla base delle proiezioni di crescita del Fondo monetario. Con questa inflazione, solo per stabilizzare il debito al 135% del Pil l’Italia dovrebbe arrivare a un surplus di bilancio di oltre il 3% prima di pagare gli interessi. Ciò comporta una manovra di più tasse o tagli per circa 17 miliardi in più sul 2015 e poi nessun allentamento del rigore negli anni seguenti. In altri termini, con l’inflazione quasi zero il rispetto del Fiscal Compact richiede sacrifici che gli elettori ormai rifiutano.
C’è una sola via d’uscita, indicata da Mario Draghi. Il presidente della Bce non esclude in futuro di creare moneta, immetterla con massicci interventi sui mercati e generare così un po’ inflazione. Per farlo l’Eurotower dovrebbe comprare anche titoli di Stato italiani, ma c’è una difficoltà: va convinta la Bundesbank che investire in Btp non è pericoloso perché verranno rimborsati senza default. Ma se Roma continua a dare l’impressione che non vuole rispettare i vincoli di bilancio Ue, o se il vicepremier Graziano Del Rio non esclude più scenari greci o argentini, la strada si fa in salita. Più il governo protesta in Europa, più paralizza le mosse di Mario Draghi: il solo che poteva aiutarlo a gestire il terzo debito più grande del mondo.
Federico Fubini, la Repubblica 1/7/2014