Liana Milella, la Repubblica 1/7/2014, 1 luglio 2014
“RIFORMA IN 2 MESI” COSÌ RENZI VUOLE CAMBIARE LA GIUSTIZIA
Dodici punti per la «grande riforma della giustizia». Buttandosi alle spalle 20 anni di «dispute ideologiche». Chiedendo ai giornali di non pubblicare più intercettazioni «che riguardano persone estranee alle indagini». Richiamando all’ordine i magistrati e il Csm, perché sono «i bravi» che devono fare carriera e «non quelli sponsorizzati dalle correnti». Con la sfida di un processo civile che «dovrà durare un anno e non 900 giorni ». Con magistrati che «pagano per i loro errori», anche se non di tasca propria. Renzi ruba la scena al Guardasigilli Orlando sulla riforma della giustizia.
Lo chiama «pacifico e doroteo». Dopo un consiglio dei ministri che dura meno di un’ora scende in conferenza stampa e gli anticipa la riforma. Annuncia, nel Paese, «un grande dibattito che durerà fino all’inizio di settembre». Solo allora arriveranno in Parlamento i provvedimenti, decreti e disegni di legge. Non prima, come invece avrebbe voluto Orlando. Non è rottura, ma commissariamento sì. Per la giustizia si bissa quello che è già accaduto per altre riforme, dalla pubblica amministrazione, alla nuova struttura costituzionale. I contenuti e la dinamica sono quelle decise da palazzo Chigi.
IL VERTICE RENZI-ORLANDO
Un retroscena è d’obbligo in questa giornata, prima ancora di descrive la riforma. Ieri mattina il premier e il Guardasigilli restano a palazzo Chigi per oltre due ore. Discutono e si dividono sui 12 punti. Da una parte Andrea Orlando, con una strategia più prudente, attenta alle consultazioni con la magistratura, dall’Anm alle singole correnti, propenso a portare i provvedimenti man mano che sono pronti, più alla spicciolata. Dall’altra Renzi che punta a una «grande riforma» che rompa gli schemi e soprattutto le incrostazioni della magistratura. Da qui gli interventi sul Csm e sull’azione disciplinare. Alla fine, ovviamente, vince la linea di Renzi, che illustra alla stampa la sua riforma.
LO SPARTIACQUE DELLE INTERCETTAZIONI
Vale la pena di anticipare subito la questione delle intercettazioni, perché è stata oggetto di frizione con Orlando, e perché su un tema così delicato le parole di Renzi aprono una discussione molto forte. Innanzitutto il premier annuncia che non c’è nulla di scritto, nessuna norma, ma un’intenzione forte quella sì. Con una premessa importante perché «i magistrati saranno sempre liberi di intercettare e nessuno vuole bloccare la possibilità di fare intercettazioni ». Il punto è «dove sta il limite alla loro pubblicabilità, se riguardano vicende personali slegate dalle indagini». Sono le famose intercettazioni dei terzi. Renzi ne fa una questione di codice deontologico. Ai direttori dei giornali rivolge un appello, chiede loro di discutere e di stabilire «dove fissare questo limite». S’interroga: «Capisco il giornalista, da dove sta il confine? Esiste un diritto alla privacy? Sono curioso di sapere cosa ne pensano i direttori dei giornali. Ma io sono convinto che sarebbe utile tracciare un limite». Ancora una battuta ironica rivolta ad Orlando, che «era a Porto Alegre con la sinistra radicale», quasi invitandolo a fare la riforma al più presto.
Riforma che dovrà interrogarsi anche sull’avvocato e sul cancelliere «che pigliano il file e lo passano».
20 ANNI DI LITI SULLA GIUSTIZIA
Stop «alle liti ideologiche sulla giustizia». Adesso Renzi vuole voltare pagina. Prima bacchettata ad Orlando, «sono 20 anni che si litiga senza discutere nel merito, vorremmo iniziare da qui, in modo non ideologico e senza litigare, è la rivoluzione dell’Orlando pacifico e doroteo...». Per il premier è la giornata giusta, «alla faccia dei gufi», visto che sulla riforma costituzionale si è cominciato a votare al Senato. Per la giustizia «niente filosofia», dall’inizio di luglio a fine agosto si parla di fatti. A partire dal più concreto, la riforma del processo civile.
CLICK TELEMATICO A MEZZANOTTE
Prima sfida, il processo civile, quello che dura oggi in media 900 giorni. «Abbattiamo della metà l’arretrato di 5.200 cause e puntiamo a un processo che duri solo un anno». Scherza il premier, nel giorno in cui parte il processo civile telematico con un click storico a mezzanotte. E lui celia, «potremmo stare qui ad aspettare questo momento». Alle spalle, in sala stampa, ecco la slide dei 12 punti, Renzi scorre veloce i primi tre, poi punta al Csm.
FANNO CARRIERA I BRAVI
Dirompenti le promesse del premier su palazzo dei Marescialli. Con una premessa, «siamo in periodo elettorale per il Csm, adesso non si tocca niente perché sarebbe scorretto». Ma subito il premier dopo mette subito un punto fermo, su un Consiglio superiore, presieduto dal capo dello Stato, che deve restare «un presidio straordinario, un punto fermo di garanzia per l’indipendenza della magistratura, un concetto di fronte al quale ci inchiniamo». Ma se questo è un principio «sacrosanto » altrettanto deve esserlo un altro, quello che «si fa carriera non perché si è di una corrente, ma perché si è bravo ». È il passaggio in cui il premier insiste ed è più duro. Insiste: «Siamo contrari al principio che si faccia carriera grazie all’appartenenza a una corrente».
DISCIPLINARE FUORI DAL CONSIGLIO
L’affermazione è secca: «Chi nomina non giudica, serve una struttura altra, perché chi nomina non potrà mai dire che chi ha nominato ha sbagliato». È l’annuncio chiarissimo di una riforma drastica della giustizia disciplinare. L’attuale sezione disciplinare del Csm, di cui fanno parte componenti che stanno anche nelle altre commissioni, diventerà autonoma, sarà composta di consiglieri che faranno soltanto i processi disciplinare contro i colleghi, proprio per garantire la più totale indipendenza.
RESPONSABILITA’ CIVILE EUROPEA
Renzi sgombra subito il campo, niente responsabilità civile diretta per le toghe, «non ci sarà l’emendamento Pini», non sarà punitiva, ma in caso di dolo o colpa grave, o per inescusabile negligenza, «è giusto che il magistrato che sbaglia paghi».
FALSO IN BILANCIO E PRESCRIZIONE
Bisognerà aspettare ancora per vedere i testi di queste riforme. Anche per loro la scadenza è settembre. Ma Renzi le garantisce entrambe. La prima, il falso in bilancio, su cui il governo è intenzionato a fare una riforma «degna di questo nome». La seconda, la prescrizione, «una riforma di civiltà».
Liana Milella, la Repubblica 1/7/2014