Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 1/7/2014, 1 luglio 2014
LA CULLA OPPIACEA DELLA DEFLAZIONE
Fino a non molto tempo fa quando si chiedeva alla gente quale fosse il tasso di inflazione, le risposte erano più alte del dato Istat: se questo era, mettiamo, del 3%, l’inflazione percepita era del 5-6-7%. E l’Istat si difendeva (giustamente) puntando il dito sui prezzi ad alta frequenza di acquisto (supermercato, benzina...) che magari aumentavano più della media.
Queste discrasie fra l’ufficiale e l’ufficioso appartengono al passato: i beni ad alta frequenza d’acquisto registrano un’inflazione più bassa della media, e i prezzi tutti si stanno adagiando nella culla oppiacea della deflazione.
Certo, c’è chi non è scontento di questa bonaccia dei prezzi. In una lettera all’"Economist" una pensionata inglese scriveva: «Per una come me che fra poco va in pensione con un reddito fisso, la deflazione suona deliziosa». Il che sembra ragionevole: chi non sarebbe contento se i prezzi scendono e rimpolpano il potere d’acquisto dei redditi? Ma questa "ragionevolezza" è un altro esempio di "fallacia della composizione": quel che è buono per un individuo non è necessariamente vantaggioso per la comunità. La deflazione intralcia l’allocazione delle risorse: spostare capitale e lavoro tra settori ha bisogno di un po’ d’inflazione che agisca da lubrificante. La deflazione incoraggia l’attendismo nella spesa, e i rimandi tolgono carburante all’economia. La deflazione rende più pesante per i debitori restituire il capitale.
Ma - si dirà - deflazione vuol dire calo dei prezzi, e il tasso di inflazione, se è negativo in Grecia e in Portogallo, è ancora positivo da noi. Il che non è vero. La ragione per cui le Banche centrali hanno adottato un obiettivo di inflazione «non superiore ma vicino al 2%» (con ciò impegnandosi a non permettere che l’inflazione vada a zero o - il cielo ne scampi - sotto zero) sta nel fatto che gli indici dell’inflazione tendono a sovrastimarla. Talché un’inflazione "ufficiale" del 2% è già vicino allo zero, e se va - come a giugno in Italia - allo 0,3%, siamo ampiamente sotto zero.
Cosa dovrebbe fare la politica monetaria in questa situazione? C’è un amuleto contro la deflazione: creare moneta. Come disse Ben Bernanke - l’ex presidente della Fed - il governo degli Stati Uniti ha una tecnologia, chiamata il torchio (o, oggigiorno, il suo equivalente elettronico), che gli permette di produrre tutta la moneta che vuole a costo praticamente zero. Certamente, è più facile farlo per gli Usa, dato che il resto del mondo è contento di tenere dollari. Ma tutte le Banche centrali hanno a disposizione questa "ultima spiaggia" per contrastare le deflazione. Magari non lo faranno volentieri. Nel maggio 2003 Wim Duisenberg - primo presidente della Bce - disse: «Nei 16 anni in cui sono stato governatore della Banca centrale olandese avemmo due anni di deflazione (al -0,5%). Dichiarai pubblicamente che vivevo nel paradiso dei banchieri centrali». Le cose sono cambiate, e la linea di confine fra paradiso e inferno si è spostata. Ma quella particolare forma mentis dei banchieri centrali - rivelata da Duisenberg - rimane sotto altra forma. C’è un’asimmetria nelle funzioni di reazione: pronti a stringere quando l’inflazione passa il limite verso l’alto, lenti ad allentare quando il tasso di aumento dei prezzi scende oltre il dovuto.
Il 15 maggio 2013 scrivevamo su queste colonne: «Il tasso di inflazione dell’Eurozona è... di parecchio sotto al 2%, e bisogna che la Bce... si chieda cosa fare per riportarlo verso l’alto. Alcune cose le può fare: da ulteriori riduzioni dei tassi a tassi negativi per i depositi delle banche presso la Bce, a interventi sul mercato secondario dei titoli pubblici a promozione di veicoli ad hoc per stimolare e garantire i prestiti alle imprese. Ma non bisogna nascondersi dietro un dito: il problema fondamentale è che manca la domanda, e qui può solo agire l’allentamento dell’austerità e il traino dei Paesi terzi, fortunatamente (per loro) meno impastoiati di quelli dell’Eurozona». C’è voluto un anno perché la Bce si muovesse in quella direzione. Ma rimane il fatto già allora denunciato: la deflazione è figlia della scarsa domanda, e il rimedio vero, prima ancora che a Francoforte, sta nelle mani di Bruxelles e dei Governi dell’Eurozona.
fabrizio@bigpond.net.au
Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 1/7/2014