Roberto Giardina, ItaliaOggi 1/7/2014, 1 luglio 2014
SPIEGEL, COPERTINA DI BELTRAME
da Berlino
Per illustrare i cento anni dall’attentato di Sarajevo, Der Spiegel ha usato la tavola di Achille Beltrame per la Domenica del Corriere che uscì la domenica successiva all’uccisione di Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia, il 5 luglio. Sarà un particolare senza importanza, anzi certamente lo è, ma mi ha colpito.
La rivista ha scelto l’immagine migliore, la più suggestiva e, tra le molte, ha scelto il disegno di un illustratore italiano. All’epoca esistevano diverse pubblicazioni simili al domenicale del Corriere, per esempio la Berliner Illustrirte, ma nessuna riuscì a eguagliare Beltrame. Che sia italiano o meno, ai colleghi di Amburgo, molto attenti alla grafica, non importa. Anche la Süddeutsche Zeitung, nell’edizione online, ricorre alla Domenica.
Seconda osservazione, un disegno illustra l’evento meglio di qualsiasi foto. Oggi, un minuto dopo il fatto, avremmo ricevuto, via Facebook, migliaia di foto scattate con i cellulari dai presenti. Non ci sarebbe stato risparmiato nessun particolare, ma non si sarebbe colto quel che Beltrame rende nel suo disegno obbligatoriamente popolare e kitsch. Come è efficace la sintesi del titolo della Welt: «Da Sarajevo a Bruxelles», dalla fine della Belle Epoque all’Europa unita di oggi, con tutti i suoi difetti, con i suoi politici e burocrati spesso imperdonabili, ma pacifica.
I serbi, un secolo dopo, stanno per edificare una statua a Gavrilo Princip, lo studente autore dell’attentato. Lo avevano già fatto, ma nel 1941 i nazisti la buttarono giù e misero al suo posto quella di Hitler. Non fu colpa di Gavrilo se l’Europa sprofondò nella tragedia, e ognuno ha diritto di scegliersi gli eroi che vuole, ma la Serbia, candidata a Bruxelles, dovrebbe essere condannata a un’attesa più lunga: un eccesso di nazionalismo è più grave di una bilancia dei pagamenti non in ordine.
Un omaggio tardivo e inopportuno, come sarebbe stato inopportuno nominare Massimo D’Alema ministro degli esteri della Comunità: quando era premier, per compiacere Clinton, si affrettò a far bombardare Belgrado, riportando la guerra in Europa cinquant’anni dopo la fine dell’ultimo conflitto. Sarà stata una coincidenza, ma le bombe volute dagli americani cominciarono a cadere poche ore dopo che a Berlino veniva ufficialmente alla luce l’euro. Quella carica che, forse, andrà alla Mogherini non serve a nulla, ma ha un valore simbolico che sarebbe da preservare.
Un secolo dopo Sarajevo, invece di innalzare monumenti, sarebbe meglio rivedere la toponomastica, e cancellare i nomi di vie e di piazze dedicate ai politici e ai generali responsabili del massacro: abbiano vinto o perduto, via i Diaz e i Cadorna. Siamo gli unici in Europa a celebrare ancora la vittoria del 1918. In Germania, anni fa, si opposero a quanti volevano dedicare una via a Ludendorff, che sconfisse le divisioni dello zar Nicola (ma dopo il generale si lasciò sedurre da Hitler, di cui condivideva l’antisemitismo). Noi abbiamo dedicato invece una strada a Rodolfo Graziani, colpevole di massacri in Africa, dall’Eritrea alla Libia.
In Germania, sia pure tra accese polemiche, hanno eretto un monumento al disertore (per ricordare quelli della Seconda guerra mondiale). A Roma hanno dedicato una strada ai «ragazzi del ’99», spediti a morire a 18 anni in trincea. A quando una via per ricordare i 4 mila giovani fucilati da Cadorna per essere arretrati innanzi al nemico? È la cifra ufficiale, in realtà furono molti di più. Addio alle armi, il romanzo in cui Hemingway descrive le decimazioni dopo la rotta di Caporetto, uscì nel 1929. La prima edizione italiana dovette attendere il dicembre del ’45. Censura fascista? Nel 1954 Senso, il film di Visconti, doveva essere intitolato «Custoza», ma i nostri militari si opposero perché contrari a ricordare una nostra sconfitta risorgimentale. Forse la tavola di Beltrame sarebbe la migliore copertina per un libro di storia d’Europa scritto da storici di tutti i paesi, al di là delle retoriche nazionali, da rendere obbligatorio nelle scuole, da Berlino a Palermo. Ma non ci sarà mai.
Roberto Giardina, ItaliaOggi 1/7/2014