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 2014  luglio 01 Martedì calendario

DAI NOSTRI INVIATI

BERGAMO .
Dieci sopralluoghi tracciati e ritenuti «interessanti ». Di cui quattro effettuati «a ridosso della palestra» di Brembate di Sopra. Quando? Sempre il lunedì e il mercoledì: i giorni in cui Yara si allenava con le compagne e le insegnanti di ginnastica ritmica. E sempre nelle ore che vedono la 13enne entrare e/o uscire dal centro sportivo (tra le 17 e le 19.30). Come e quando Massimo Bossetti ha conosciuto — se, come ritengono gli investigatori, la conosceva — Yara Gambirasio? A 15 giorni dall’arresto del presunto killer, la risposta arriva ora dai tabulati telefonici. Le «tavole registro» attraverso le quali è stato possibile ricostruire il traffico delle conversazioni (sms compresi) e gli spostamenti dell’artigiano edile di Mapello. Non soltanto nel giorno in cui Yara viene rapita e uccisa (giorno di cui già è dato sapere, comprese le immagini del furgone modello Iveco Daily catturate dalla telecamera della Banca Veneta con occhio puntato su via Rampinelli). Ma anche nel periodo precedente. Quello che, secondo gli investigatori, occorre a Bossetti — «l’uomo col pizzetto» di cui Yara aveva confidato al fratello di aveva paura — , per «agganciare» la ragazzina da cui era attratto e creare con lei un rapporto di «consuetudine» o «pre-consuetudine » (termini utilizzati dal pool di polizia e carabinieri).
Dieci sono i sopralluoghi cristallizzati dalla tecnologia in uso ai detective. Dieci sopralluoghi che l’indagato ha compiuto da inizio settembre a metà novembre 2010. Con un incremento sequenziale a cavallo tra la prima e la seconda metà di ottobre. In pratica Bossetti si mette «al lavoro » subito dopo l’estate: quando riaprono le scuole e riprendono le attività sportive nella palestra frequentata da Yara. «L’ipotesi che deduciamo dai tabulati è questa — ragiona una fonte qualificata — In quel periodo Bossetti si fissa con la ragazzina, si invaghisce di lei, la segue e cerca di instaurare un rapporto di simpatia e di fiducia: possiamo dire di non diffidenza». A parlare è la cella che aggancia il telefono di Bossetti a Brembate. Rivela che quattro di queste «visite » mirate hanno come sfondo, o come teatro, proprio la palestra. Il suo perimetro, l’area immediatamente antistante: «Il telefono combaciava con la palestra, come se ci stesse sopra », spiega l’investigatore. Già, perché c’è proprio uno «spicchio» di cella che calamita l’utenza dell’indagato. Lo colloca nell’area del palazzetto dello sport il 4 ottobre, l’11 novembre, e in altre due date a metà ottobre. Domanda: dove si appostava in quei giorni Bossetti per aspettare, studiare e approcciare
Yara? Forse nel parcheggio della palestra, forse a ridosso del vialetto di ingresso. Forse in quella stradina un po’ defilata, via don Sala, a pochi metri dal centro sportivo dove il muratore con la mania della tintarella ha ambientato il selfie — lui fresco di lampada, la vecchia Volvo V 40 grigia — postato su Facebook e portato alla luce dalla Chi l’ha visto? . «Non è escluso che con il furgone si piazzasse proprio lì», ragiona l’investigatore. «La foto postata — con l’auto — può essere un modo, nemmeno troppo sofisticato, per confondere le acque e “allontanare” il veicolo da lavoro dalla nostra attenzione». Sta di fatto che il 26 novembre 2011, dopo quasi tre mesi di appostamenti nella zona dove era più facile intercettare la ragazzina (perché Bossetti conosce bene Brembate, perché lei arriva in palestra e torna a casa sempre a piedi), tra il presunto assassino
e Yara Gambirasio esiste, ritengono polizia a e carabinieri, un rapporto di «consuetudine ». Tale che per convincere la ragazzina a salire sul furgone — forse lo stesso che si vede transitare lo stesso giorno in via Rampinelli alle 18 — il muratore non deve avere fatto troppa fatica.
Un ultimo ragionamento ruota intorno al possibile ritorno di Bossetti sul luogo del delitto (forse anche il 6 dicembre, quando il telefonino aggancia la cella di Chignolo d’Isola e lo localizza nei pressi del campo dove verrà trovato il cadavere). «Se lo ha fatto — aggiunge la fonte inquirente
— non è perché segue una logica da assassino professionista, ma per una specie di riflesso condizionato: si rende conto di avere commesso una cosa atroce, consumata in fondo a una situazione che gli è scappata completamente di mano».