Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  luglio 01 Martedì calendario

SPAZIANI, IL NOVECENTO IN VERSI UNA POESIA «ISPIRATA E SPIRITOSA»


«Refrattaria alla disperazione come un vento imprendibile», ha scritto di lei Paolo Lagazzi, introducendo il Meridiano uscito nel 2012. Non c’è definizione migliore per far luce sulla personalità umana e poetica di Maria Luisa Spaziani, che si è spenta ieri a Roma.
Nata a Torino nel 1922 da una agiata famiglia borghese, indirizza subito i suoi studi e le sue passioni private verso la letteratura, traduce per suo piacere personale, legge prestissimo Gli ossi di seppia di Montale, le prime raccolte di Luzi, Penna, Sinisgalli. La giovane Maria Luisa mostra una precoce energia intellettuale che la porta a fondare e dirigere diciassettenne una rivistina, «Quaderni del Girasole» (poi «Il Dado»), chiamando suo padre a farne l’editore. Sarà il modo per allacciare relazioni con gli autori che ama, ma in particolare con l’ambiente artistico della sua città, e per guadagnarsi uno spazio critico, con una rubrica tutta sua in cui scrive su Campana, Eliot, Ungaretti, Montale, Sbarbaro… La laurea in francese con una tesi su Proust segna in modo definitivo i suoi interessi futuri di critica e di studiosa. Nel dopoguerra, Maria Luisa Spaziani conosce il ventenne Elemire Zolla, che già si sta segnalando come filosofo e studioso di tradizioni mistiche. Ne nasce una lunga relazione che porterà tardivamente, nel 1958, al matrimonio, destinato a durare non più di un paio d’anni: dura invece l’affinità elettiva e lo scambio con la sua «intelligenza sfavillante».
Intanto, il 10 gennaio 1949, in occasione di una conferenza al Teatro Carignano di Torino, l’incontro con Eugenio Montale: i due si frequentano e si sviluppa subito qualcosa che la stessa Spaziani chiamerà più in là «un’amicizia amorosa» e l’amica diventerà la musa di tante poesie del futuro Premio Nobel, con il celebre nome-senhal di Volpe che è al centro di componimenti memorabili come L’anguilla . «Un personaggio molto terrestre… — così ne parlò Montale —. Di fronte a lei mi sono sentito un uomo astratto vicino a una donna concreta: lei viveva con tutti i pori della pelle». La crisi economica della famiglia le suggerisce di trasferirsi a Milano in cerca di un lavoro come dattilografa e segretaria, e lo trova non molto lontano dal «Corriere», dove lavora Montale. Ben presto però si sposta a Parigi, dove ha vinto una borsa di studio: e la Francia si rivela luogo dell’avventura culturale e dell’innamoramento, grazie all’incontro rimasto mitico nella suae memoria con il giovane egiziano Aziz Izzet.
Dal 1957 si stabilisce a Roma, città che non lascerà fino alla fine, benché la sua carriera universitaria dal 1964 si svolga a Messina: Roma diverrà fonte ispiratrice della sua poesia, il centro dei suoi interessi intellettuali e delle sue amicizie.
Maria Luisa Spaziani esordì in poesia giovanissima, ma il suo primo libro è solo nel 1954 (Le acque del Sabato ): da allora una lunga serie di raccolte, fino a L’incrocio delle mediane (2009).
Italo Calvino definì la sua voce poetica con due aggettivi apparentemente in opposizione: «ispirata e spiritosa», mettendo a fuoco la coesistenza di profondità e leggerezza furtiva, concretezza, immobilità quasi sapienziale e fluidità, con illuminazioni saettanti, epigrammatiche quando non sarcastiche. Una tessitura metricamente molto mossa e consapevole, che alterna lirismo e narratività, limpidezza e oscurità, preziosismi e andamento colloquiale. Nel 1966 esce un libro che si configura quasi come un bilancio della sua attività: Utilità della memoria , dove si fondono la libertà di timbro e la fedeltà a moduli classici. Il grande critico Luigi Baldacci, che fu uno dei suoi più autorevoli sostenitori, sottolineò nella sua poesia «la coscienza di dire cose brucianti e private e di poterle dire solo attraverso un materiale di riporto: attraverso cioè il recupero di un linguaggio che mentre dà compiuta espressione al sentimento, lo proietta come riverbero su un cielo lontano: quello di una classicità godibile per se stessa».
Negli anni successivi la Spaziani dilata il carattere sapienziale del suo poetare, fino a ottenere, come ha scritto Maurizio Cucchi, una «geometrica esattezza che produce effetti di nitore e trasparenza», anche in veri e propri poemi come il «romanzo popolare» (in versi) Giovanna d’Arco (1990), un racconto storico e civile di ampio respiro. Resta comunque impressionante la quantità di riferimenti, espliciti o dissimulati, che alimentano la pagina della Spaziani, dalla latinità alla contemporaneità e anche all’attualità viva, dagli antichi testi ebraici alla grande cultura poetica europea novecentesca, dall’arte figurativa alla musica. Il Meridiano di quasi duemila pagine, uscito all’alba dei suoi novant’anni, è il testimone più completo della sua vasta e ricca produzione, anche se ne sono rimaste escluse le numerose traduzioni (da Flaubert, Gide, Yourcenar, Tournier, Racine, Frenaud, Ronsard eccetera), le prove narrative (l’autobiografia Montale e la Volpe ), il lavoro teatrale.
«È difficilissimo trovare dell’umorismo nelle preghiere — diceva la Spaziani pensando al suo fare poetico — dei paradossi, dei piccoli sorrisi, dunque mi piace che nei miei testi venga apprezzato quel miscuglio di ispirazione, sensibilità subliminale e guizzo di umorismo». In morte dell’amico Eugenio, scrisse due versi che rendono al meglio questo guizzo amaro, privo di malinconie: «Il meglio della seppia è l’osso. / Il resto è per i cuochi».