Salvatore Garzillo, Libero 1/7/2014, 1 luglio 2014
TORNA L’INCUBO DI UN VIRUS CHE FECE 500 MILIONI DI MORTI
L’11 settembre 1978 in un ospedale inglese muore Janet Parker, fotografa medica del dipartimento di anatomia della University of Birmingham Medical School. È l’ultima persona (certificata) deceduta per il virus del vaiolo. Lo aveva contratto l’11 agosto di quell’anno a causa di un incidente avvenuto all’interno dei laboratori dell’università dove si stava cercando una cura alla malattia. Il 6 settembre il professor Henry Bedson, responsabile scientifico dell’ateneo per la ricerca contro il vaiolo, si tagliò la gola nella capanna degli attrezzi nel suo giardino, lasciando questo messaggio: «Mi dispiace di aver smarrito la fiducia che tanti miei amici e colleghi hanno riposto in me e il mio lavoro». Due anni più tardi, l’8 maggio 1980, l’Oms ha certificato l’eradicazione della malattia dall’umanità. Da quel momento, dopo una campagna lunga e faticosa durata anni, il vaiolo è stato considerato sconfitto. Motivo per il quale molti dei lettori di questo articolo e chi lo scrive non sono vaccinati.
Le uniche riserve conosciute di vaiolo sono ai due capi opposti del globo: nei laboratori del Cdc di Atlanta, negli Stati Uniti, e nel Centro di ricerca statale di virologia e biotecnologia Vector di Koltsovo, Russia. L’Oms chiese già nel 1993 di distruggere i campioni ma le resistenze dei due Paesi hanno permesso loro di mantenere la posizione nonostante una pubblicazione del 2010 redatta da esperti di salute pubblica nominati dall’Oms abbia accertato che non esiste «alcuna essenziale questione di sanità pubblica che giustifichi Usa e Russia a mantenere le riserve di virus». Ovviamente, il timore di entrambi è che possa essere utilizzato come arma.
Ci sono due tipi di vaiolo: minor e maior. Il primo è più lieve e porta al decesso nell’1% dei casi (purtroppo però è anche quello ritenuto meno comune). Il maior, invece, ha un tasso di mortalità del 30-35%, in pochi giorni. Per chi sopravvive c’è un 65-85% di possibilità di avere orribili cicatrici soprattutto al volto, un 2% di cecità o deformità. Il virus si trasmette per via aerea, per contatto diretto con una persona malata (solitamente entro una distanza di
due metri) e tramite oggetti contaminati. Non c’è notizia di trasmissione da animali o insetti. La caratteristica di chi ha contratto la malattia è il corpo ricoperto di papule, una sorta di pustole.
La forma Maior, inoltre, può sfociare in quattro diversi generi: ordinario, modificato, maligno ed emorragico. L’ordinario, che si verifica nel 90% dei casi, ha un tasso di mortalità del 62% ed è caratterizzata dalla presenza di pustole a rilievo molto grosse e diffuse. La modificata colpisce chi è stato vaccinato, ha un’eruzione cutanea più veloce e una risoluzione altrettanto rapida, raramente è fatale. La forma maligna è tipica dei bambini (72% dei casi): quasi sempre mortale, si verifica con febbre alta per 3-4 giorni e comparsa di pustole. L’emorragica è la più grave: colpisce il 2% dei soggetti, soprattutto se immunodepressi. Mortalità: 100%. La vaccinazione veniva praticata con un ago biforcato che lasciava una piccola cicatrice sul braccio.