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 2014  luglio 01 Martedì calendario

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME —

Le rocce grigiastre e le tute bianche degli agenti della scientifica. Le immagini sono comparse sugli schermi giganti che stavano mostrando la partita del Mondiale e il risultato tra Francia e Nigeria ha smesso di interessare gli israeliani. La notizia che tutti speravano di non dover mai ascoltare è stata annunciata nelle edizioni speciali dei telegiornali: i tre ragazzi rapiti la sera del 12 giugno sono stati trovati uccisi, freddati poco dopo il sequestro, i cadaveri coperti dalle pietre e nascosti tra le piante delle colline a nord di Hebron. A meno di venti chilometri da dove erano stati presi, mentre tornavano a casa in autostop.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha convocato una riunione di urgenza. Chiama «belve» chi li «ha ammazzati a sangue freddo», considera «Hamas responsabile e pagherà». Lo Shin Bet, i servizi segreti, sospetta Marwan Qawasmeh e Amer Abu Aisha: li avrebbe individuati ventiquattro ore dopo il sequestro, appartengono a un clan molto potente della zona di Hebron, legato ad Hamas ma che ha spesso agito fuori controllo.
Per quasi venti giorni l’esercito ha setacciato la zona, eppure i corpi di Eyal Ifrah, 19 anni, Gilad Shaar, 16, e Natfali Frenkel, 16, sono stati trovati da un gruppo di volontari civili. «Tutta Israele china la testa nel dolore», dice il presidente Shimon Peres. Chi ha potuto ha raggiunto nella notte le case delle famiglie a Nof Ayalon, Elad e nell’insediamento di Talmon, un pellegrinaggio che non si era fermato dal 12 giugno.
Proprio ieri la polizia ha reso noti i risultati dell’inchiesta interna. Quattro agenti sono stati rimossi per non aver saputo gestire la situazione: uno dei ragazzi era riuscito a telefonare al centralino di una stazione, a dire poche parole («ci stanno rapendo»), l’allarme non è stato lanciato fino al mattino dopo.
Anche Abu Mazen, il presidente palestinese, ha convocato il suo governo. Gli israeliani pretendono che rompa la ritrovata unità nazionale con Hamas. Il leader ha condannato il sequestro e le sue forze di sicurezza hanno cooperato con quelle israeliane, per ora ha difeso la coalizione: «Risponde al mio programma politico, la ricerca della pace con Israele». Hamas non ha ministri ma mantiene il controllo di fatto di Gaza, sottratto sette anni fa con le armi al Fatah del presidente.
Dalla Striscia i fondamentalisti minacciano: «Se veniamo attaccati, si apriranno le porte dell’inferno». Dal giorno del rapimento, gli estremisti hanno risposto con i lanci di missili — 15 solo ieri mattina — ai raid dell’esercito israeliano in Cisgiordania, 400 arresti e cinque palestinesi uccisi.
Gli analisti fanno notare che i generali di Netanyahu si ritrovano con bersagli limitati. Le operazioni di ricerca hanno già colpito Hamas. Tzahi Hanegbi, viceministro degli Esteri, propone di decapitare la leadership del movimento: «Non so quanti di loro resteranno vivi dopo quello che è successo». Da destra e da sinistra, i politici invocano una risposta durissima. Barack Obama, il presidente americano, condanna gli omicidi e chiede — soprattutto a Israele — di evitare una escalation.
D.F.

IL MONDO DEI TRE AMICI
Da solo sul palco, chitarra e vestito da festa, Eyal Ifrah canta ispirato per il cugino al suo matrimonio. Ci è rimasto un video di quel giorno felice, nella primavera scorsa, da lui stesso messo su YouTube. Un altro lo mostra vicino a un amico, davanti a un microfono: si alternano in un brano melodico, le voci sono belle e loro contenti, è l’inizio di giugno. Naftali Frenkel si esibisce invece sul portale di video in una recente partita di ping pong: è bravo e sorride spesso. Ancora Naftali compare in Rete con il compagno di scuola Gilad Shaar in una foto scattata al collegio rabbinico di Kfar Etzion: le kippà chiare in testa, entrambi accucciati, sono in tenuta da calcio e dietro di loro si vede infatti una rete. La data è l’11 giugno 2014, mercoledì. Il giorno dopo, finite le lezioni, Gilad e Naftali si sono diretti alla vicina rotonda sulla statale 60 per cercare un passaggio e tornare a casa più a nord per il weekend. Per caso, lì nello stesso punto, vicino a una fermata degli autobus che ormai non passavano più, è arrivato anche Eyal, allievo di un’altra scuola religiosa della zona. E’ l’ultima informazione che abbiamo di loro, da vivi almeno.
Poi, fino al ritrovamento ieri dei loro corpi, il buio: certo caricati da un’auto (una sospetta è stata trovata già l’indomani, bruciata, più a sud nei pressi di Hebron), certo rapiti, forse — come ha sostenuto dall’inizio il premier Benjamin Netanyahu — prelevati da membri del movimento islamico Hamas.
Le sorti dei due amici Gilad e Naftali, 16 anni, e di Eyal, 19, si sono tragicamente intrecciate in quel momento, mentre facevano l’autostop, che gli israeliani usano tantissimo anche per attraversare i Territori occupati nonostante tutti sappiano che «devono stare attenti». Ma i tre ragazzi erano comunque già legati dall’appartenenza alla stessa «tribù» della moderna Israele. «Kippot srugot», si autodefiniscono in ebraico, ovvero kippà all’uncinetto, per distinguersi da quelle nere e lucide indossate dagli ultraortodossi. «Noi siamo osservanti ma siamo moderni, facciamo il militare ad esempio e gli uomini lavorano anziché solo studiare i testi sacri come gli ultraortodossi», ci aveva spiegato un vicino di Naftali Frenkel a Nof Ayalon, in occasione del primo, emozionante incontro tra le tre famiglie, pochi giorni dopo il rapimento. Simili infatti le tre coppie dei genitori: professionisti i padri, le madri con i foulard in testa, le maniche e le gonne lunghe, ma con l’aria decisa e le vite impegnate, nel lavoro e nel sociale. E tutte con tanti figli: Naftali è il secondo di sette, Gilad ha cinque sorelle, Eyal è il primogenito di sei. Tutti e tre i ragazzi, pur abitando in luoghi diversi, studiavano poi in due yeshiva o collegi rabbinici nella grande colonia di Gush Etzion (Kfar Etzion è un kibbutz al suo interno). Yeshiva in cui la religione ha un peso importante, ma anche tutte le materie laiche, e in cui pur essendo solo per maschi si respira un’aria appunto «moderna». Gli studenti suonano e ascoltano musica, fanno sport, hanno hobby. Nei weekend, tornati a casa, hanno amici e vite normali, da bravi ragazzi.
«Gilad ama tantissimo il cinema, ha appena finito un corso di snorkeling ma è pure un abile cuoco, si diverte molto a infornare torte e pasticcini con le sue sorelle che lo adorano», raccontava qualche giorno fa la zia Lehi, parlando ancora al presente nella speranza che l’avrebbe presto riabbracciato. «Eyal ama viaggiare e la musica, compone canzoni, suona e canta. Ed è un tifoso di calcio, in questi giorni starebbe incollato alla tv a guardarsi i Mondiali», aveva aggiunto un’amica di famiglia. E Naftali «l’americano», perché come tutta la famiglia ha doppia nazionalità, i nonni erano di Brooklyn dove lui stesso era di casa, «è un grande sportivo. Il basket in particolare», aveva detto mamma Rachel alle Nazioni Unite qualche giorno fa. Dove le tre madri avevano parlato dei loro figli, «tutti bravi studenti e bravi ragazzi», appellandosi al mondo perché, anche con la preghiera, fossero presto ritrovati sani e salvi.
Cecilia Zecchinelli

HAMAS
Il clan Qawasmeh è raccolto in meno di un chilometro, diecimila tra fratelli, cugini, parenti vivono nella zona di Abu Qatila vicino ad Hebron. Due di loro sono i sospetti indicati dagli investigatori israeliani, mancano da casa dal 12 giugno, quando i tre ragazzi erano stati rapiti.
La famiglia estesa è nota all’esercito e agli agenti dello Shin Bet, i servizi segreti. Durante la seconda intifada, quindici membri sono rimasti uccisi, nove di loro autoimmolati come attentatori suicidi. Legati ad Hamas, spesso hanno agito fuori controllo, senza ricevere ordini dai leader del movimento fondamentalista. «Gli attacchi contro gli israeliani — fa notate l’analista Shlomi Eldar sulla rivista digitale Al Monitor — sono coincisi con momenti di tregua, cessate il fuoco che gli oltranzisti non volevano accettare». Anche il sequestro sarebbe stato un atroce piano per far deragliare la ritrovata unità tra Hamas e il Fatah di Abu Mazen. «Israele considera Hamas responsabile — continua Eldar — mentre i palestinesi sanno che il gruppo rappresenta un’area grigia. E’ per questo che il presidente non ha ancora smantellato il governo di concordia appena formato malgrado le pressioni del premier Benjamin Netanyahu da Gerusalemme».
La vicinanza ideologica e di quartiere ha fatto degli Qawasmeh uno dei gruppi più difficili da infiltrare, anche per le forze di sicurezza palestinesi. Lo scettro della violenza è sempre stato trasmesso da parente a parente. Quando Abdullah Qawasmeh è stato eliminato dagli israeliani nel giugno del 2003, il successore è diventato il cugino Basil. Quando Basil è stato assassinato, il comando è andato a Imad, arrestato nell’ottobre di undici anni fa. Marwan, considerato l’ideatore del sequestro, avrebbe accresciuto potere e prestigio proprio dopo l’incarcerazione a vita di Imad. La fedeltà tribale veniva cementata anche con la dedizione sportiva. I kamikaze e i ragazzi scelti per missioni suicide giocavano nella stessa squadra di calcio, chiamata Moschea Jihad: maglietta bianca, per simbolo un pugno che stringe un’ascia, allenamenti dopo le preghiere.
Abdullah era stato freddato dai soldati delle forze speciali dopo aver spedito un attentatore con la cintura bomba su un autobus a Gerusalemme, 16 morti: Mohammad Shabani, che per non essere fermato prima della strage si era travestito da ultraortodosso ebreo, si ritrovava al campetto. Come Ziad al-Fahudi, numero 15, ammazzato mentre cercava di infiltrarsi nella colonia di Kiryat Arba. Con lui c’era Hazam Qawasmeh, vivevano a duecento metri di distanza e giocavano nella stessa squadra della morte.
Davide Frattini