Gianni Clerici, la Repubblica 30/6/2014, 30 giugno 2014
ADDIO SUOLE LISCE E POA PRATENSIS L’ERBA STA FINENDO
LONDRA
È domenica. I campi sui quali si gioca il torneo sono vuoti, l’erba vittima delle suolacce contemporanee viene amorosamente accudita dai ragazzi del groundsman, che chiamerei capo giardiniere, il Signor Neil Stubley, succeduto al mio amico Alan Tichmarsch. Ai miei tempi era vietato scendere in campo con suole men che lisce, da mostrare negli spogliatoi prima di accedere ai court termine rinascimentale che ricorda le Corti, in cui si giocava prima che i britanni riscoprissero il Giuoco di Rachetta e lo ribattezzassero Tennis, dal francese Tenez. Poi vennero le suolacce, che tracciavano una T di erba battuta, ingiallita, tipica di chi serviva e correva a rete. Oggi non esiste più la T, ma soltanto un’isola simile a un grande occhio, lungo la linea della battuta, territorio di proprietà dei fondisti bimani, la maggioranza contemporanea. Come mai si continua a giocare sull’erba solo a Wimbledon, terreno quasi abbandonato negli ex Dominions, quelli che diedero decine di campioni: Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica? Ma perché costa troppo mantenere un campo.
Ricordo di aver visto a Bombay - altro ex dominion - venti poveri giardinieri indiani che strappavano l’erba cattiva in cambio di un piatto di riso. Così siamo ridotti a tre settimane di tornei, l’anno prossimo quattro, rinserrati tra il Roland Garros (che mangerà anch’esso un vicino giardino), e le Regate di Henley, e la Gold Cup di Ascot, avvenimenti che non possono cambiare data, non più di Natale e Pasqua. Un simile attacco, e cioè inizio di articolo, mi è venuto in mente ricordando i disastri dello scorso anno, quando, nel terzo giorno del Torneo, ci furono sette giocatori ritirati per infortuni, e sette precedenti numeri uno sorprendentemente battuti. Tra gli altri, quella star della Sharapova, ci fece sapere che scivolare sull’erbetta era troppo pericoloso, e Victoria Azarenka, la n. 2, confermò con uno stiramento a una gamba. Quest’anno pare che le cose vadano meglio, tanto che il capo giardiniere non si sente più sotto accusa, ma ha detto a me e a un collega di «Esser stato complimentato da più di un tennista» (tra i quali non includerei Fabio Fognini) pur ricordando che, all’avvio, si scivola maggiormente, soprattutto privi dell’abitudine ad un tipo di equilibrio tanto insolito. Non aveva fatto in tempo ad autolodarsi, o ad autoassolversi, il giardiniere, che venerdì Djokovic si sarebbe involontariamente esibito in tuffo da calciatore, che poteva svitargli un omero. Qualcuno afferma che l’abituale taglio, all’altezza di un terzo di inch, e cioè di otto millimetri, è stato un tantino allungato, e che all’abituale poa pratensis è stata mescolata e aumentata la percentuale di rye grass, che nelle mie conoscenze di mediocre orticultore chiamerei gramigna. La velocizzazione del gioco, secondo lo scriba, che ci ha provato, è certamente relativa anche alle palle, le indigene Slazenger, più leggere delle sorelle della Atp (Association Tennis Players) usate a Parigi. Un visitatore italiano mi ha domandato ieri se ci siano campi d’erba in Italia. Ho risposto che ce n’è tuttora più d’uno, come ci informò il mensile Tennis Italiano in una ricerca di qualche anno fa. I due meglio accuditi si trovano nel Parco del conte Sigurtà, vicino a Peschiera del Garda, magnifico giardino botanico aperto al pubblico. A conferma della loro qualità, ricorderò che l’attuale Contessina già aveva qualche dimestichezza con l’erba, ai tempi in cui evoluiva a Wimbledon con il nome di Emanuela Gagliardi. Ma, giunto a questo punto della mia storiella, ritengo di dovermi fermare. Anche perché, la domenica, mi aspetta una partitella, di doppio, in un altro storico club, il Queens, e cioè della Regina. Una domenica sull’erba, cos’altro chiedere alla vita?
Gianni Clerici, la Repubblica 30/6/2014