Filippo Ceccarelli, la Repubblica 30/6/2014, 30 giugno 2014
LA “GENERAZIONE ERASMUS” SCELTA DAL PREMIER PER ESSERE TRASFORMATA NELL’ULTIMO BRAND
Il premier Renzi d’altra parte l’aveva già richiamata nel suo discorso d’esordio, prima al Senato e poi alla Camera. Ma a poche ore dall’inizio del semestre europeo s’imprime come un marchio a fuoco e prova a suonare come una formula magica.
Le peripezie della persuasione sono spesso così contorte da risultare lunari nella loro sovrabbondanza. Con il che, sia pure di sfuggita, è impossibile far finta che per un intero ventennio Berlusconi non abbia invocato a pie’ sospinto Erasmo, il filosofo di Rotterdam, per giustificare come le scelte decisive, le sue, “sono spesso frutto di una lungimirante follia”. E vabbe’. Nel caso di Renzi si tratta invece della sigla del progetto che dal 1987 a oggi ha permesso a circa 230 mila giovani italiani di studiare — e non solo! — in Europa: European Region Action Scheme for the Mobility of Universitary Students, Erasmus appunto.
Ora, i primi studi sull’approccio della retorica alla pubblicità risalgono ormai alla metà degli anni 60. Posto che si tratta di trasformare un prodotto in un valore, secondo il modello degli antichi la via maestra è la metafora, mentre quella indiretta fa riferimento a un’altra figura, la metonimia, attraverso cui il prodotto è inserito nel contesto che suggerisce quel valore. Per farla breve: “Generazione Erasmus” si colloca tra l’uno e l’altro processo argomentativo — e in tal modo il governo se la intesta.
Il fatto che la medesima espressione sia stata usata dall’ex presidente Letta, e che fra tutti gli attuali ministri solo la titolare degli Esteri Mogherini abbia effettivamente partecipato da giovanissima al progetto Erasmus avvalora semmai l’antica saggezza dei classici e l’eterna potenza della retorica, che nell’uso corrente è da intendersi però anche come ipocrita ed enfatica ampollosità.
Sia come sia, “il ragazzo è bravo con le parole” ha decretato già nel marzo scorso Berlusconi. Ha aggiunto ad aprile Fedele Confalonieri, che pure lui se ne intende: “Renzi ha il marketing incorporato”. Anche questo risulta storicamente acclarato. Finita la scuola, secondo svariate ricostruzioni biografiche Matteo ha lavorato nell’azienda di famiglia (“Chil”, poi “Eventi6”) per invogliare l’acquisto di giornali con relativi allegati. A seconda del tipo di prodotti, fossero dispense della “Divina commedia”, videocassette western o cd di opera lirica, il futuro premier disponeva presso le edicole figuranti mascherati da Dante Alighieri, o da cow-boy o da Giuseppe Verdi.
Giusto allora stava crollando la Prima Repubblica, ma già da tempo le antiche culture politiche — chi più, chi meno — avevano ceduto alle lusinghe del mercato, dei consumi e della modernizzazione (sondaggi, spot, agenzie pubblicitarie, consulenti e poi manager della comunicazione). Tanto proviene Renzi da quella temperie, tanto profondamente ha introiettato quel particolare know-how, che quando tre settimane orsono si trovava in Cina, Erasmus o non Erasmus, se n’è uscito: “La politica è stato il peggior manager dell’Italia, dobbiamo cambiare direttore commerciale e del marketing”.
Ecco, l’impressione è che proprio con lui questa sostituzione stia accadendo. Dalla più remota preistoria emerge non solo il ricordo del periodare di Moro, delle litanie berlingueriane o dei “ragionamendi” di De Mita, ma anche delle più brusche e colloquiali formulazioni di Craxi. Di più: pare invecchiatissima anche la poliedrica e a suo tempo smagliante novità del linguaggio berlusconiano. In altre parole, comunque vada a finire, Renzi, l’uomo che propone “House of cards” nelle scuole di formazione, ha annichilito, o superato, o se si vuole portato a compimento un ciclo di gloriosa oratoria politica.
E’ più facile adesso chiamarla “comunicazione”, ma quella del premier assomiglia piuttosto a una “turbo-comunicazione” che in larga misura si connota, secondo Giovanni Orsina, come una conseguenza e una risposta alla crisi sempre più drammatica delle istituzioni. Dal punto di vista tecnico si tratta di pillole, atomi, tweet, ritornelli e tormentoni che perseguono un “procedimento pavloviano” e “si fissano nell’incoscio”, dixit Carlo Freccero.
In pochi mesi gli osservatori hanno raccolto la più copiosa messe di strategie discorsive a velocità istantanea e opportuni sussidi audio e a base di slide. #Arrivoarrivo, #coseconcrete, #iocicredo, #cambiareverso, #SbloccaItalia, #lasvoltabuona. E poi: “Ci metto la faccia”, “Mi gioco l’osso del collo”, “Batti il cinque”, “il Patto di stupidità”, “i mitici 80 euro”, “L’Italia tornerà a sorridere”. E ancora: “Gufi e rosiconi”, “la palude”, “il rullo compressore”, “la rivoluzione”, “i Daspo” e innumerevoli altri riferimenti calcistici, pure alimentati da permanenti consegne e scambi rituali di maglie.
Quanto alla prova dei fatti, è troppo presto per dire. La generazione Erasmus, d’altra parte, ha sì un bel po’ di tempo davanti a sé, ma proprio in quanto tale dovrebbe essere meno disposta a lasciarsi incantare dalle chiacchiere.
Filippo Ceccarelli, la Repubblica 30/6/2014