Elio Pirari, il Fatto Quotidiano 30/6/2014, 30 giugno 2014
ENZO MAIORCA “MI BUTTAI IN MARE, FU COME TOCCARE LA SETA”
[Intervista] –
Ha rivaleggiato a lungo con Jacques Mayol, l’altro grande interprete dell’immersione in apnea, entrambi si sono inabissati sin dove hanno potuto. Per tutti erano uomini arditi, pazzoidi e ingegnosi ma lui, Enzo Maiorca, si è sempre definito un uomo normale. Aveva una devozione per Giorgio Almirante ma una volta eletto senatore con An conobbe la politica come arte del mimetismo e dell’incomprensibilità.
Maiorca, la prima volta lei si immerse a quattro anni.
A un metro di profondità dentro una tinozza incastrata tra gli scogli di Grottasanta, due passi da Siracusa. Grottasanta era una contrada agreste, un alternarsi di colori e profumo di limoni, oggi non esiste più, s’è l’è mangiata il cemento.
Cos’è un’immersione in apnea?
È come quando incontri gli occhi di una bella ragazza, la possibilità di sfiorare la bellezza.
Cosa deve fare chi scende in apnea?
Migliorare l’acquaticità e la spinta nelle gambe, mangiare e bere con moderazione. Poca carne, pesce, uova, verdure, frutta e yogurt.
E cosa non deve fare?
Il fumo è un killer, come il senso di onnipotenza, un metro in più può risultare fatale.
Come si prepara un’immersione?
Frequentando una scuola seria, ai miei tempi non si usava, in passato il mare ha fatto molte vittime.
L’insidia maggiore?
Per gli apneisti la sincope, a me capitò nel ’74, per i “bombolari” l’embolia.
Come si prepara un record?
Io correvo tre ore al giorno, salivo le scale di casa zavorrato, facevo ginnastica a corpo libero. Niente piscina, le mattonelle celesti mi deprimevano.
Il momento più bello di una discesa.
La risalita, il record lo fai quando riemergi, il fondo è solo un obbiettivo temporaneo.
La sua scoperta del mare?
Da bambino mi sembrava una seta giapponese, dalla costa pendeva verso la Grecia. Volevo capire cosa ci fosse là sotto ma non capivo niente.
La prima volta scese con una maschera antigas.
Un residuo bellico. La trovai in un roveto, nel ‘43. Le nostre campagne erano una Santabarbara di mine, bombe inesplose e filo spinato. Ne ho vista di gente saltare per aria.
Le sue origini?
I miei erano proprietari terrieri.
Grandi latifondisti?
Piccoli agricoltori rovinati dalla guerra.
Che bambino era?
Me ne stavo per conto mio, intorno avevo solo qualche compagnetto di scuola. Eravamo pochi ma particolarmente discoli, uscivamo pazzi nel farci i dispetti, uno di loro un giorno mi spaccò la testa.
Sua madre amava il mare?
Molto, babbo no, lui era un uomo di terra.
Lui la voleva medico.
E io no, io volevo fare l’ufficiale di marina, ma allora comandavano i padri.
Chi è Pippoventidue?
Un amico, l’ultimo di una dinastia di marinai.
Perché ventidue?
Perché i suoi per sopravvivere uscivano quando il mare era agitato. Pazzi a tutti gli effetti, ma la loro follia gli permetteva di imporre un prezzo superiore di venti, e anche di ventidue volte al venditore, e non di subirlo come capitava sempre.
Una volta celebraste un battesimo marino.
Fuori il porto di Siracusa udimmo uno scroscìo d’acqua, era un delfino. A venti metri c’era la compagna imprigionata in una spadara. Riuscimmo a liberarla dalle maglie, era come scossa da contrazioni nervose, dopo una spruzzata di schiuma sanguigna partorì un delfinotto, alla fine la famigliola unita prese il largo. Pippo si raccomandò: “Non dirlo a nessuno”.
Perché?
Perché chi glielo spiegava ai pescatori che ci eravamo alleati con i delfini?
La sua ultima battuta di pesca.
Stavo stanando una cernia, la mia mano incontrò il suo cuore impazzito, lasciai perdere e buttai il fucile al secchio.
Da senatore fece una battaglia contro le spadare.
Che prosegue.
E’ sempre nel Wwf?
Macché, mi hanno cacciato. Ora do una mano a questi della Sea Shepherd, l’organizzazione che si occupa della difesa dei cetacei.
Le fa più spavento una tempesta in mare o i politici?
Il Senato è una messa a morto, il ministro Poli Bortone sognava spadare di nove metri. Per i politici il mare è l’ultima risorsa da sfruttare.
E per lei?
Un sentimento.
Forse ha fatto bene a svignarsela dal Senato. Il suo ultimo record, -101, lo stabilì nell’88 a 58 anni. Il primo nel 60’ a 29, allora scese a -45.
Vuole sapere perché un trentenne si ferma a 46 metri e 28 anni dopo scende a 101? Forse perché il tempo è un paradosso, da qualche breccia dell’io certi rimpianti urlano ancora.
Cos’è la paura?
Quella cosa che mantiene un vivo tra i vivi.
Ha paura della morte?
No, a furia di frequentarli mi mettono angoscia i medici.
Lei l’ha vista da vicino.
Nel ’74. C’era la prima diretta Rai, alle 17 era già buio, a maggior ragione là sotto. Provai lo stesso il record a -90, la tv aveva preso la mano a tutti. A18 metri un sub si aggrappò al mio cavo, urtai con la fronte contro l’incavo delle sue bombole.
Il sub era Enzo Bottesini, non a caso noto anche per essere stato un campione di “Rischiatutto”. Lei riemerse infuriato, si udì una bestemmia. Raschiando il fondo dell’etere Paolo Valenti provò a coprire la sua voce ma l’escamotage risultò vano. Quell’episodio le costò anni di ostracismo televisivo.
Avevo rischiato la pelle per un difetto di comunicazione, un po’ troppo, non le pare?
Che fine vorrebbe per sé, quando verrà il momento?
Vorrei morire in mare senza il compianto dei parenti, con una mano sulla barra del timone e l’altra sulla drizza della vela.
In che pesce si reincarnerà?
In un delfino.
L’uomo-delfino era Mayol.
Si faceva chiamare così.
Mayol diceva “Diventeremo acqua nell’acqua”, poi una sera lo trovarono impiccato a un albero all’Elba.
Quella sera provai una pena profonda. E una grande rabbia.
Eravate diversi?
Due opposti. Jacques era facile al litigio, si accendeva per un nonnulla.
Bisticciavate spesso?
Sempre. Lui aveva preso una sbandata per la tecnica, io la detestavo. La tecnica ha ucciso la vela, i remi e i marinai. Non ci sono più marinai.
Perché per tanto tempo ha impedito l’uscita di “Le Grand Bleu”, il film di Besson che racconta le vostre vite?
Quel film aveva un vizio di forma, la sceneggiatura di Jacques. Mi tratteggiò come un mafioso, feci causa e la vinsi.
Mafioso?
In una scena Jean Reno, l’attore che mi dà il volto, incontra Jacques ( Jean-Marc Barr), in un hotel di Taormina e gli fa: “La tua camera?”, e lui: “Non c’è una camera per me”, allora Reno prende il portiere per la cravatta e lo minaccia: “Trova una camera per il mio amico”, ma io non sono Al Capone.
Perché Mayol la tratteggiò come un mafioso?
Era fatto così.
Aveva molte donne Jacques.
Era solo e poteva fare quello che voleva.
Anche lei, avesse voluto… eravate molto popolari.
Sì, ma molto diversi, io dico grazie a Dio.
Va ancora in mare?
Ho 83 anni, il cardiologo me lo ha proibito.
Elio Pirari, il Fatto Quotidiano 30/6/2014