Paolo Mastrolilli, La Stampa 30/6/2014, 30 giugno 2014
“ITALIA 1948 FU LA CIA A FERMARE IL PCI”
«Senza la Cia, il Partito comunista, nel quale i sovietici avevano enormi interessi, avrebbe sicuramente vinto le elezioni del 1948». Dopo quel voto, i finanziamenti e gli aiuti dei servizi segreti americani ai gruppi «democratici» proseguirono ancora per diversi anni, e la stessa Gladio fu creata dalla «Company», per far capire che «gli Stati Uniti erano seri nel sostenere l’Italia e darle i mezzi per difendersi».
Non sono voci queste, ma fatti che l’ex capo stazione della Cia a Roma, Jack Devine, rivela per diretta conoscenza nel suo nuovo libro «Good Hunting».
Devine racconta anche l’incontro con Giovanni Paolo II e spiega come Roma fosse il centro della lotta contro Mosca.
Devine è stato una colonna dei servizi americani, coinvolto in tutte le operazioni più importanti del secolo scorso, da Iran-Contra al Cile. Nel 1988 fu nominato capo della sede di Roma, e per le informazioni sugli anni precedenti si è avvalso delle notizie ricevute da un altro mito della «Company», l’ambasciatore Montgomery, che ha lavorato a lungo in Italia.
Il presidente Truman aveva incaricato l’Agenzia di combattere una guerra clandestina contro l’Urss, e il nostro paese «era il primo campo di battaglia politico». Per contrastare l’influenza del Pci, Truman aveva «autorizzato la Cia a rovesciare soldi nelle elezioni, attraverso giornali, periodici, trasmissioni radio, manifesti, volantini e organizzazioni politiche». Senza questo intervento, secondo Montgomery, «il Partito comunista avrebbe sicuramente vinto». Devine aggiunge che «col passare del tempo, i partiti democratici divennero abbastanza forti da reggersi sui propri piedi, e non ebbero più bisogno del supporto e il finanziamento clandestino dell’Agenzia». Questo significa che gli aiuti erano proseguiti anche dopo il 1948, e il modello Italia era stato un tale successo da replicarlo in altri paesi, tipo il Cile.
Jack era a Roma quando era scoppiato il caso Gladio, e nell’ammettere il ruolo avuto dalla Cia ricorre ancora a Montgomery, che spiega l’operazione come un sostegno materiale alla resistenza contro l’Urss, ma anche una garanzia della lealtà americana verso Roma: «Così sapevano che gli Usa erano seri nel sostenere l’Italia, dandole i mezzi per difendersi. Gladio fu un fattore preponderante per la stabilità in Italia e nell’intera regione». Poi aveva deviato, ed erano arrivati i sospetti del coinvolgimento in episodi terribili come la strage di Bologna. Ma a quel punto «l’Agenzia aveva perso interesse in Gladio».
Quando era arrivato in Italia, il compito principale di Devine erano gli «hard targets, inclusi i russi e i loro alleati del blocco orientale, che avevano una enorme presenza a Roma. Migliaia di rifugiati ebrei arrivavano allora dalla Russia, prima di essere mandati verso le destinazioni finali in Israele o negli Usa. Molti di questi rifugiati erano ingegneri, scienziati, e altri con un alto background tecnico. Possedevano intelligence di valore, quindi bisognava interrogarli». L’agente che si occupava di spiare i russi a Roma era Aldrich Ames, che poi sarebbe diventato il più famoso traditore della «Company». Proprio mentre era nel nostro Paese, aveva accumulato su un conto svizzero oltre un milione di dollari, ricevuti da Mosca per vendere i suo colleghi. Il suo interlocutore era l’agente del Kgb Aleksey Khrenkov, sempre basato in Italia. Una volta in ambasciata si era presentato un alto funzionario dell’Europa orientale, per offrire segreti agli Usa. Lo chiamarono in codice «Motorboat», e Devine ordinò a Ames di sottoporlo alla macchina della verità. Durante l’interrogatorio, «Motorboat» confidò ad Aldrich che un alto esponente della Cia stava tradendo i propri compagni, passando le loro identità al Kgb che poi li eliminava. Ames naturalmente informò subito i servizi russi del tradimento di «Motorboat», girando loro tutte le informazioni che gli aveva dato a Roma.
Anche i servizi italiani spiavano i movimenti di Devine, che un giorno seppe di essere sotto particolare sorveglianza. All’inizio non aveva capito il perché, ma poi scoprì che proprio quel giorno gli agenti italiani dovevano incontrare un importante contatto russo, e non volevano che lui lo sapesse.
Jack, di origini irlandesi, aveva chiesto di incontrare Giovanni Paolo II, per ringrazialo dell’opera svolta per aprire l’Europa orientale. Quando si erano visti, il papa gli aveva posto una domanda imbarazzante: «Lei dove lavora?». Per non mentire al pontefice, e non violare la sua copertura, Devine aveva risposto che era un impiegato del governo americano: «Penso di aver notato sul suo volto uno scaltro sorriso d’intesa».
L’ex capo stazione ricorda anche gli incontri abituali che aveva con un politico di grande esperienza e molto saggio, che amava mangiare la pasta con parecchio peperoncino rosso. Poi le visite con i colleghi italiani alla National Security Agency, vent’anni prima dello scandalo Snowden, e le passeggiate nei giardini di Villa Taverna con l’allora capo della polizia, che quando partì lo invitò a cena in un noto ristorante, fatto svuotare apposta affinché fossero soli: «Una dimostrazione del suo potere, di cui peraltro non avevo mai dubitato».
Paolo Mastrolilli, La Stampa 30/6/2014