Francesco Guerrera, La Stampa 30/6/2014, 30 giugno 2014
I RISCHI DI INVESTITORI TROPPO CINICI
«I mercati trasferiscono soldi da chi è attivo a chi è paziente». Le famose parole di Warren Buffett, che di pazienza e di mercati qualcosina ne sa, sono la chiosa ideale alla prima metà del 2014.
Chi è stato paziente in questo periodo è diventato più ricco. Magari non ricco come Buffett, il cui genio per gli investimenti vale circa 65 miliardi di dollari, ma certo più ricco di come aveva incominciato l’anno. Il bello di questi sei mesi di grazia è che quasi tutti i tipi di investimenti sono all’attivo: dalle azioni - sia in Paesi sviluppati che in mercati emergenti - alle obbligazioni e perfino l’oro.
Non è assolutamente normale: di solito, se le azioni salgono perché i mercati si aspettano una ripresa economica, le obbligazioni e l’oro calano per paura dell’inflazione e di un rialzo dei tassi d’interesse. Questa volta no. Gli indicatori sono al verde tutti insieme appassionatamente per la prima volta in più di vent’anni. E come se ciò non bastasse, i mercati sono calmissimi. Guardatevi intorno: c’e un conflitto in Iraq che potrebbe fomentare venti di guerra nel Medio Oriente e far aumentare il prezzo del petrolio; una nuova dittatura militare in Thailandia, uno dei più grandi produttori di riso del mondo; e Putin si è annesso la Crimea, aumentando tensioni geopolitiche sulla soglia dell’ Europa.
E i mercati? «I mercati se ne fregano», mi ha detto un capo di una banca di Wall Street l’altro giorno, con un’espressione tra il sorpreso e il preoccupato. Poi ha alzato il suo bicchiere di vino e mi ha detto: «Beviamo per non dimenticare questo grande momento».
Il momento sarà anche grande ma fa un po’ paura. Un mercato menefreghista è un mercato vulnerabile al ritorno di realtà politiche ed economiche che rimangono molto poco rassicuranti.
Un’altra fase famosa di Buffett è: «Abbi paura quando gli altri sono avidi e sii avido quando gli altri hanno paura».
I numeri che vengono dall’America, l’Europa e la Cina non sono granché.
Proprio questa settimana, le stime ufficiali hanno dichiarato che il prodotto interno lordo Usa è calato di quasi il 3% nei primi tre mesi dell’anno – un risultato choccante per un’economia che, in teoria, dovrebbe essere in piena ripresa. I mercati azionari sono saliti, ragionando che un’economia anemica costringerà la Federal Reserve a tenere aperti i cordoni dello stimolo ancora per un po’.
Ma la realtà è che il primo trimestre ha segnato il più grande tonfo dell’economia Usa in cinque anni, un dato molto allarmante che non dovrebbe essere ignorato. La povera Europa è in condizioni simili ai giocatori azzurri in Brasile: vecchia, lenta e senza fiato. E persino il dragone cinese non è più capace di crescere a scavezzacollo come un tempo.
I banchieri centrali sono preoccupati. «Gli investitori sono troppo compiaciuti di se stessi», mi ha detto un alto ufficiale della Fed l’altro giorno. Quando gli ho chiesto se la banca centrale potesse fare qualcosa per instillare un po’ più di realismo nei mercati ha allargato le braccia e sorriso, senza dire nulla.
Diciamocelo chiaramente: l’unico motivo per cui investitori grandi e piccoli comprano beni e azioni è la presenza delle banche centrali. I tassi bassi, le misure di stimolo e le parole melliflue da parte di Janet Yellen, Mario Draghi e Haruhiko Kuroda curano tutti i mali dei mercati in questo momento.
I «fondamentali» – gli utili delle aziende, la crescita economica e il quadro geopolitico – mancano ma in un periodo in cui ci sono poche alternative allo stimolo delle banche centrali, la fortuna aiuta i pazienti.
Durerà? Certo non così. I prossimi sei mesi saranno un periodo di scelte difficili per investitori, imprenditori e banchieri.
La dicotomia tra azioni e obbligazioni ritornerà. O le economie ricominciano a tirare, aiutando i mercati azionari e danneggiando beni del tesoro e debito aziendale; o si cade verso la crescita-zero, uno scenario che decimerebbe gli utili, i posti di lavoro e le azioni delle aziende.
La ripresa rimane il caso più probabile ma anche lì i rischi abbondano. Un ritorno di fiamma dell’economia, soprattutto in America, risveglierebbe lo spettro dell’inflazione. Dopo sei anni di vacche magre in pochi si ricordano che la Fed ha una visione apocalittica dell’inflazione. Al primo segno di rialzo nei prezzi al consumo e dei salari, la Yellen e i suoi potrebbero aumentare i tassi, una mossa che gli investitori odiano e non si aspettano.
Vista la situazione, la calma olimpica dei mercati fa paura. Conosco investitori di rango che già stanno uscendo dai mercati, contenti dei primi sei mesi e preoccupati del futuro incerto e, forse, cinico e baro che li attende.
Ma sono in minoranza. Come spesso accade, gran parte dei signori del denaro e i loro discepoli sono convinti che il bicchiere è mezzo pieno. Nei primi sei mesi del 2014 hanno avuto ragione.
Per ora, le parole di Buffett vanno accompagnate a quelle di George Bernard Shaw: «La regola d’oro è che non ci sono regole d’oro».
Francesco Guerrera è il caporedattore finanziario del Wall Street Journal a New York. francesco.guerrera@wsj.com.
Su Twitter: @guerreraf72.
Francesco Guerrera, La Stampa 30/6/2014