Massimiliano Lenzi, Il Tempo 28/6/2014, 28 giugno 2014
L’ETERNO CANDIDATO A TUTTO ANCHE ALLA FEDERCALCIO
Cominciamo da Umberto Saba, poeta del calcio, per arrivare a Walter Veltroni, che voci di queste ore darebbero come possibile presidente della FIGC, la Federazione italiana gioco calcio quando avrebbe dovuto starsene in Africa, almeno fermandosi ai suoi annunci di un po’ di tempo fa. «Il portiere caduto dalla difesa / ultima vana, contro terra cela / la faccia, a non veder l’amara luce. / Il compagno in ginocchio che l’induce / con parole e con mano, a rilevarsi, / scopre pieni di lacrime i suoi occhi. / La sua folla – unita ebrezza – par trabocchi nel campo. Intorno al vincitore stanno, / al suo collo si gettano i fratelli».
Ora, senza entrare nel lirismo di Saba, che non sono più i tempi da far rime, Veltroni non c’è dubbio che, dopo aver fatto il Sindaco di Roma, dopo aver perso la sfida da candidato premier del centrosinistra con Silvio Berlusconi nel 2008 e soprattutto dopo non essere andato nel Continente Nero, beh che dovrebbe capirne di calcio. Lui, cresciuto a Roma, che tifa Juventus, incarna una contraddizione in termini, senza possibilità di uscita. E poi troppi incarichi, stando alle indiscrezioni che in questo Paese escono alla velocità del suono, avrebbe dovuto ricoprire in questi anni.
C’è chi ha parlato di lui come Presidente della Rai, chi come futuro Capo dello Stato dopo Giorgio Napolitano, ma in fondo nel suo essere uno, nessuno e centomila (come incarichi) si annida il suo incagliamento politico, simile a quello della Concordia nave da crociera che ha fatto la fine di un traghetto.
Ecco allora che Veltroni, dopo la morte del Pci, rappresenta oggi un contrappasso di promesse mancate e pure di incarichi che hanno travolto la generazione dei 50 e sessantenni cresciuti nel Partito comunista.
Una paralisi politica travolta dalla rottamazione di Matteo Renzi (a sinistra) e, nel secolo scorso, dalla ventata di libertà portata da Silvio Berlusconi (a destra).
Un blocco di crescita, nelle nomine e nei ruoli, che Walter Veltroni sta scontando con i suoi scritti e con il suo film sopra Enrico Berlinguer, l’ultimo simbolo di una sinistra che si voleva egemonica, che ha inseguito l’eurocomunismo ed il contrappasso liberatorio di una questione morale (ovviamente contro gli altri, mai nella propria casa politica) e che ha finito col perdere prima contro il Cavaliere ed oggi contro il rottamatore.
Perché il fatto politico vero, da non perder di vista, riguarda la crisi delle élite a sinistra, un popolo che vedeva lo sport come fumo negli occhi, diversivo del Capitalismo e che oggi rischia di presiederlo dopo una spedizione da sconfitti in Brasile, il sud del sud dei Santi e del mondo.
Soprassedere alle sconfitte, a guardar bene, è cosa facile ma presiederle resta è un’altra cosa. E qui c’è il cortocircuito della sinistra, la sua sconfitta ed il suo mondo perduto che alle classi da ribaltare ha sostituito il gioco del pallone. Perché come diceva l’allenatore della Sampdoria Vujadin Boskov, «squadra che vince scudetto è quella che ha fatto più punti». E la sinistra ne ha fatti sempre pochi, caro Walter.
Massimiliano Lenzi