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 2014  giugno 28 Sabato calendario

DELLA VALLE, IL PREDICATORE CHE ASSOLVE SOLO SE STESSO


Oggi che fra le tante cose di cui è ricco proprietario è anche patron della Fiorentina Calcio, Diego Della Valle lo si potrebbe assimilare a un bomber molto particolare. Nei settori dell’industria della calzatura e dell’abbigliamento sportivo, in cui dal niente è riuscito a inventare e imporre marchi ormai noti in tutto il mondo, è senza alcun dubbio un attaccante sfondatore, sempre in gol, un pallone d’oro, un Messi dell’impresa del lusso, capace di mettere le sue scarpe glamour ai piedi di personaggi come Gianni Agnelli o Lee Iacocca, attori come Kevin Kostner, Tom Cruise, Richard Gere, Michael Douglas, Sharon Stone, Mel Gibson, fino all’ex re Juan Carlos e Romano Prodi. Ormai ha dato vita a un fenomeno mondiale. Le sue Hogan e Tod’s, grazie a tanti testimonial (non pagati) dell’industria, dello spettacolo, dell’imprenditoria, sono da anni oggetti cult, distinguono chi le indossa e sono, anche per il costo molto alto, espressione di uno status sociale. Oggi Della Valle ha 61 anni, ma a 34 era già miliardario, aveva un fatturato di 200 miliardi di lire, con un utile di 45. Ne ha fatta di strada questo ex giovanotto di Sant’Elpidio a Mare, che carpì al nonno Filippo, aiuto ciabattino, e al padre Dorino, artigiano della scarpa già un po’ costosa, i segreti per produrre calzature di qualità, non nella cucina di casa, ma a livello industriale. Con lui il fatturato del gruppo sale con progressione geometrica. Non ne sbaglia una, mette in piedi cinque fabbriche e 35 laboratori che lavorano in esclusiva. Dal 2000 ha 100 negozi nei posti più "in" del mondo. Lo sbarco in borsa è stato un trionfo.
Il problema di Della Valle incomincia quando esce dal campo di gioco che gli è più congeniale, quello dell’industria, per affrontare il mondo in generale. A questo punto scompare il bomber d’assalto e di successo e compare una specie di don Chisciotte più in carne, che vede avversari da abbattere in ogni angolo, oltretutto senza avere al fianco neppure un saggio e bonario Sancho Panza, impegnato, inutilmente, a fargli capire che le pale dei mulini a vento non sono nemici da abbattere, ma stanno semplicemente macinando grano da trasformare in farina e pane. Dobbiamo dire che in questa veste Della Valle fa anche simpatia come l’eroe di Cervantes, perché non riesce mai a portare a casa un assalto vincente. Da oltre venti anni, esterna a trecentosessanta gradi, dall’economia alla politica, dall’industria al calcio, investendo come un fiume in piena banche, alti commissari, governi, ministri e sottosegretari, amministratori delegati e giornali, fino allo scandalo mazzette che ha investito Expo e Mose, tutti travolti da un’ondata purificatrice che nella maggior parte dei casi lascia le cose così come erano prima. E non è che Della Valle non abbia spesso ragione, ma risulta tuttora incomprensibile come non riesca mai a farla accettare agli altri. A 40 anni è nel consiglio d’amministrazione dell’Iri «per fare le scarpe ai boiardi di Stato». Ne esce urlando "burocrati!" all’establishment, all’epoca rappresentato dalla grande finanza del Nord. Si rifugia in Mediobanca, ma anche qui, fra patti di sindacato e accordi segreti, non gli fanno toccare palla. Cerca di aggirare l’ostacolo acquistando per 100 miliardi l’1,2 per cento della Banca commerciale italiana, ma si ritrova in casa Mediobanca che controlla 13 consiglieri su 14. Della Valle è il quattordicesimo. Se ne va sbattendo la porta. Intanto si è fatto vedere al congresso del Pds, mentre entra in Generali, per migliorarne la redditività, ma lo tengono ai margini e se ne esce urlando. Approdato in Rcs, in pratica nella stanza dei bottoni del Corriere della Sera, è subito in collisione con Bazoli e Geronzi, gli "arzilli vecchietti" da lui definiti. Riesce a far fuori Geronzi, ma non la spunta con Bazoli, che intanto lo ha querelato, e che da vecchietto superstite, favorendo l’acquisizione del 20 per cento della Rcs da parte della Fiat fa perdere definitivamente a Della Valle la speranza di arrivare al controllo del Corriere. In politica è ondivago, scivola dal Pds al finanziamento di Rinnovamento italiano di Lamberto Dini, diventa poi amico di Clemente Mastella, quintessenza della prima Repubblica, per finire da lauto finanziatore nelle braccia di Berlusconi, con il quale naturalmente non va d’accordo. Memorabile il suo violento attacco all’ex cavaliere all’assemblea generale degli industriali, nel marzo del 2006 a Vicenza. Comprando a prezzo di saldo la Fiorentina, emerge il suo pallino di sempre: combattere gli Agnelli, la Fiat e la Juventus e non solo su un campo di calcio. A Elkann consiglia di restare a casa e di andare a sciare, proponendo un referendum fra gli italiani per chiedere loro se vogliono che gli Agnelli restino in Italia. Sergio Marchionne viene definito «un furbetto cosmopolita, mago Otelma delle 4 ruote, che non sa fare un’automobile». L’amministratore in maglioncino scuro replica: «Con quanto lui investe in un anno in ricerca e sviluppo, noi non ci facciamo nemmeno la parte di un parafango. La smetta di rompere le scatole». Ha due amici certi, ma in affari, Montezemolo e Luigi Abete. Con il primo ha creato Italo, il treno veloce in concorrenza con Trenitalia, ma i treni pubblici e Alitalia privata stanno facendo fallire l’impresa, oggi in perdita. Con Abete sogna di rilanciare Cinecittà, anch’essa in crisi. Oggi è anche molto vicino a Passera, entrato in politica. Con Montezemolo, Abete e Passera costituisce il quartetto di quella "gioventù anziana" che vorrebbe conquistare l’Italia, ovviamente con Della Valle nel ruolo dell’ariete. Renzi, di cui Della Valle si professa amico, ha ancora una volta sconvolto progetti e ambizioni. Forse anche per questo il Diego furioso ha recentemente sentenziato: «Ho incontrato cinque ministri del governo Renzi, due bravi, tre emeriti deficienti». Quando non riesce a conquistare spazio sui media, compra intere pagine dei giornali per gridare "basta" alla politica. Il ruvido e per niente diplomatico "fratello d’Italia" Ignazio La Russa ha commentato: «Ha bisogno di pagare un’inserzione, perché quando parla senza pagare non lo ascolta nessuno». Certo quando grida che «l’Italia è un Paese di tangentari con alla guida dei bravi ladri», è difficile non dargli ragione. Il problema è che Della Valle ignora l’arte della mediazione, ha un ego ansioso di riconoscimenti. Giuliano Ferrara ha detto di lui: «Ha qualche idea buona, in un mare di confusione». L’idea buona è stata stanziare 25 milioni del suo patrimonio per rimettere a posto il Colosseo, monumento unico al mondo, ingrigito dallo smog e dall’incuria, in parte cadente. Ha impiegato ben tre anni Della Valle prima che la burocrazia e i puntuali ricorsi al Tar, altra tragedia dell’Italia immobile, gli permettessero di aprire il portafoglio per realizzare un’opera meritoria, non con i soldi dello Stato. Sotto questo punto di vista, il personaggio Della Valle merita qualche attenuante. Solo non capisce che se non riesce a produrre consensi, è perché sembra sempre urlare, anche quando è muto: «Guardatemi, sono tanto ricco e potente da poter dare a tutti lezioni di vita e di governo». Non ci riuscì neppure Napoleone.
Riccardo Scarpa