Pietro Crivellaro, Il Sole 24 Ore 29/6/2014, 29 giugno 2014
LA SIGNORA DEL MONVISO
[Alessandra Boarelli] –
Il bollino che i 320 mila soci del Cai hanno applicato sulla tessera riporta quest’anno un Monviso tinto di rosa. Si intendono così annunciare le celebrazioni dei 150 anni della prima ascensione femminile dell’imponente piramide da cui nasce il Po. Un nutrito programma di mostre, incontri e proiezioni sta entrando nel vivo in questi giorni. La storica impresa fu compiuta il 16 agosto 1864 dalla gentildonna d’origine torinese Alessandrina Re sposata Boarelli che aveva allora 26 anni ed era già madre di due bambini. Il marito, possidente e sindaco di Verzuolo che sorge allo sbocco della val Varaita nei pressi di Saluzzo, annotò sul registro dei conti la spesa di 219 lire per «salita in 2 al Viso, vettura, guida e cibarie». Non fu lui ad accompagnare la moglie, ma un’altra donna, oltre naturalmente alla guida locale, a cui diede manforte il vicario di Casteldelfino don Galliano. Con la gentildonna di Verzuolo salì in vetta la "damigella" di 14 anni Cecilia Fillia, nativa di Martignana Po e figlia del notaio di Casteldelfino, presumo più in funzione di cameriera che di vera compagna.
Più che logico per il Cai, che lo scorso anno ha festeggiato i 150 anni di fondazione in seguito alla famosa "riconquista" del Monviso capeggiata da Quintino Sella, celebrare quest’anno la nascita dell’alpinismo femminile, mentre si appresta a ricordare nel 2015 la conquista del Cervino, vicenda celeberrima che nasconde sorprendenti risvolti patriottici con la regia dello statista e alpinista biellese. Se le ricorrenze legate al 1863 e al 1865 sono capisaldi della storiografia dell’alpinismo nazionale, la celebrazione della prima femminile è piuttosto una novità, dovuta da un lato alla diffusione delle "quote rosa" anche nel Cai e dall’altra alla recente riscoperta dell’impresa della signora Boarelli da parte dei discendenti. Alludo soprattutto alla pronipote Francesca Quagliotti, professoressa di matematica e fisica al liceo di Saluzzo, che ha creato su internet il sito www.alessandraboarelli.it. Mentre cambia e si evolve la mentalità nel mondo della montagna e nelle sezioni Cai, si va a scavare nel passato alla ricerca di origini e fondamenti storici.
Ma ritengo che per la rivalutazione di Alessandra Boarelli prima alpinista italiana sia stato decisivo il bivacco fisso a lei intitolato una decina d’anni fa sulla sponda del lago inferiore delle Forciolline, a 2820 m di quota nell’alta valle Varaita. La signora Quagliotti mi precisa che il piccolo rifugio non custodito con una dozzina di posti letto è stato realizzato dalla comunità montana e lei si è solo battuta per farlo intitolare alla sua ava alpinista. I politici locali in verità non hanno compiuto sforzi speciali accogliendo la proposta, visto che l’idea originaria risale a Quintino Sella, si parva licet. Quel pianoro accanto al laghetto delle Forciolline, chiamato localmente "maita", venne da lui battezzato «maita Boarelli» nella famosa lettera Una salita al Monviso, resoconto della vittoriosa ascensione compiuta nell’agosto 1863 da cui due mesi dopo sarebbe nato il Club Alpino.
Occorre sapere che, prima del successo del 1864, la gentildonna di Verzuolo aveva già partecipato a un tentativo al Monviso pochi giorni prima della comitiva Sella, la quale piantò la tenda e pernottò nello stesso pianoro. Ho ricostruito i precedenti, i vari tentativi e il contesto della "riconquista" italiana del Monviso – già salito dagli inglesi Mathews nel 1861 e Tuckett nel 1862 – nell’edizione della lettera del Monviso pubblicata da Tararà di Verbania nel 1998. Per questo non credo che il tentativo Boarelli dell’agosto 1863 sia fallito solo per il maltempo, come si tende a sostenere oggi, dopo che le sezioni Cai della val Pellice hanno celebrato i meriti del loro compaesano Bartolomeo Peyrot che fu il primo italiano sul Monviso già nel 1862 come portatore di Tuckett e fu poi poco brillante guida del tentativo Boarelli e compagni. Tentativo fallito per l’incapacità del povero Peyrot, racconta e argomenta chiaramente nel suo resoconto Sella che di alpinismo si intendeva ed era informato dal cavalier Giacinto di Saint Robert, aggregatosi alla vittoriosa comitiva con il più noto fratello conte Paolo, subito dopo il fallito tentativo guidato da Peyrot.
Perché la signora Alessandra Boarelli, che qui vediamo elegantissima in crinolina, affrontò il rude cimento tipicamente maschile di tentare il Monviso nel 1863 e coronò il suo intento nell’agosto 1864? Sappiamo che era una donna colta e aggiornata, che scriveva sia in francese sia in inglese. Ma per definire meglio le sue motivazioni bisognerà scavare nelle carte di famiglia. Per ora il precedente più illustre e documentato resta quello della gentildonna francese Henriette d’Angeville che nel 1838 scalò il Monte Bianco, peraltro trent’anni dopo la cameriera di Chamonix Maria Paradis. Ho curato qualche anno fa per i «Licheni» Vivalda la riedizione del suo resoconto La mia scalata del Monte Bianco, tuttora distribuito da Priuli & Verlucca.
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Pietro Crivellaro, Il Sole 24 Ore 29/6/2014