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 2014  giugno 29 Domenica calendario

LE POLTRONE D’EUROPA COSÌ RENZI E MERKEL SCHIERANO GLI ESERCITI


Bruxelles
C’è soltanto una nomina per ora e neanche definitiva, quella di Jean Claude Juncker come presidente della Commissione: tra due settimane dovrà andare davanti al Parlamento europeo per chiedere una prima fiducia, poi ci tornerà una volta composta la squadra dei commissari. Una sola nomina, in questo complesso incastro tra nazioni, famiglie politiche, Paesi rigorosi e Paesi indebitati, ma si possono già vedere i primi vincitori e soprattutto i primi sconfitti.
RENZI&LETTA. Matteo Renzi è un vincitore a metà: il premier italiano, forte del 40,8 per cento alle urne, usa il suo peso elettorale per avanzare richieste. Al momento la sua scelta è quella di avere l’Alto rappresentante per la politica estera, considerato in quota socialista (il Pd in Europa è dentro il Partito socialista). Una casella di grande prestigio ma che vale zero in termini di interesse nazionale, il ministro degli Esteri dell’Unione è la persona da insultare quando l’Europa non riesce ad agire nelle crisi internazionali. Ma Renzi usa la casella in chiave politica: è quella più nobile ed è quella a cui ambisce da anni Massimo D’Alema. Renzi la prenota per Federica Mogherini, la fedelissima ministro degli Esteri. E così manda un messaggio interno e a Bruxelles: la vecchia guardia del partito – D’Alema e non solo – deve rassegnarsi all’oblio. E il fronte dei tecnocrati, la filiera europeista che da Giuliano Amato e Mario Monti arrivava fino a Enrico Letta non può più considerare le poltrone europee una spettanza automatica. Renzi in Europa si appoggerà alla Mogherini e a due renziani acquisiti come Gianni Pittella, che guiderà probabilmente il potente gruppo del Pse in Parlamento, e a Roberto Gualtieri che sarà capogruppo nella commissione che segue i dossier economici, due caselle poco appariscenti in Italia, ma che consentono grandi possibilità di azione. Secondo una fonte dell’Europarlamento, Angela Merkel avrebbe chiesto a Renzi se era disponibile a indicare Enrico Letta alla presidenza del Consiglio europeo , in caso di necessità. Il premier avrebbe risposto con un secco no. E comunque ha pubblicamente spiegato che l’Italia non chiede la guida del Consiglio perché c’è già un italiano, Mario Draghi, alla Bce. Letta è fuori, D’Alema anche, Renzi è più forte ma rinuncia a portafogli economici pesanti come Commercio e Mercato interno.
ANGELA MERKEL. La cancelliera tedesca è un portento: è riuscita a ribaltare una situazione difficile in una affermazione di forza. La Merkel era contraria al sistema degli Spitzenkandidaten, cioè il tentativo dei partiti europei di imporre ai capi di governo il presidente della Commissione abbinando le candidature al voto partitico. Non ha mai amato Jean Cluade Juncker, il candidato del Ppe, e ancor meno Martin Schulz, il suo avversario del Pse, socialista tedesco della Spd. Ma quando David Cameron ha messo il veto sul nome di Juncker, simbolo di un’Europa troppo federale e contraria agli interessi inglesi, la Merkel ha difeso il nome di Juncker, trasformandolo di fatto in un presidente di Commissione su mandato della Germania, ha sbloccato il risiko delle nomine appoggiando la riconferma di Schulz al Parlamento per i prossimi due anni e ha quasi ottenuto in anticipo la conferma di un portafoglio importante per Berlino nella nuova commissione. Il commissario sarà, di nuovo, Günther Oettinger, quasi certamente confermato all’Energia. Anche il prossimo commissario agli Affari economici, il successore di Olli Rehn, deve essere scelto tra i nomi graditi alla Merkel: probabile che sia un altro finlandese, l’ex premier Jirky Katainen, che si è dimesso dal governo con la promessa tedesca di ottenere una poltrona prestigiosa.
CAMERON&HOLLANDE. David Cameron è stato umiliato: il premier inglese ha messo il veto sul nome di Juncker per la Commissione, preoccupato che la sua nomina sia un pericoloso cedimento del Consiglio (cioè dei governi nazionali) a un’idea di Europa più federale e dove è il Parlamento a decidere. Per la prima volta il Consiglio ha votato a maggioranza invece che decidere all’unanimità: 26 con Juncker, due contro. A sostegno di Cameron è rimasto solo il leader reazionario e xenofobo dell’Ungheria, Viktor Orban. Ora Cameron, già umiliato dal successo degli indipendentisti Ukip di Nigel Farage, deve scegliere se incasare l’umiliazione o reagire spingendo Londra fuori dall’Unione col referendum previsto per il 2017. François Hollande è semplicemente non pervenuto: il debolissimo presidente francese cerca disperatamente un posto per l’ex ministro Pierre Moscovici, che ha fatto dimettere promettendogli un posto a Bruxelles, ma per ora non si ha traccia dell’attività diplomatica francese.

Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano 29/6/2014