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 2014  giugno 29 Domenica calendario

FERLAINO: «COSÌ COMPRAI IL PIÙ FORTE AL MONDO SENZA AVERE I SOLDI»

Quando la prima volta disse che avrebbe comprato Diego, era una bugia. «Nell’intervallo di Italia-Germania a Zurigo, davanti ai giornalisti, il presidente federale Sordillo mi fa: ma insomma tu chi compri? Non ti rinforzi mai. Eravamo molto amici. E io rispondo: prendo Maradona. Ma era una battuta». Trentanove giorni dopo, il 30 giugno 1984, Corrado Ferlaino portò davvero a Napoli il numero uno. Era un sabato sera. «Forse lo voleva Dio», dice adesso l’ingegnere seduto al tavolo di vetro del suo ufficio. Ha 83 anni pieni di luce.
Come le venne in mente di comprare Maradona?
«Antonio Juliano, che era il direttore generale, aveva contattato il Barcellona per un’amichevole. Accettarono precisando che Maradona non ci sarebbe stato per un infortunio. Ci informammo e scoprimmo che era falso, era in rotta con il club. Così partimmo. Ci chiesero 13 miliardi di lire, convinti che non avessimo i soldi».
Invece?
«Invece niente, era vero, non li avevamo. Enzo Scotti, il sindaco, mi mise in contatto con Ferdinando Ventriglia, presidente del Banco di Napoli. Avevo i politici a favore e gli intellettuali contro. Una trattativa infinita, chiusa all’ultimo minuto».
Oppure oltre?
«Andò così. L’ultimo giorno utile presi l’aereo e andai in Lega a Milano, dove consegnai una busta vuota. Da lì con un volo privato a Barcellona: feci firmare Maradona e in piena notte tornai a Milano correndo in Lega. All’ingresso dissi alla guardia giurata che avevo sbagliato una procedura, salimmo negli uffici e di nascosto sostituii la busta: portai via la vuota e lasciai quella con il contratto. All’alba Napoli era in festa».
Si è mai chiesto perché nessun club protestò?
«I giornali scoprirono la storia della busta, il calcio italiano fece finta di non crederci. Erano tutti felici di avere Maradona in Italia. Napoli e i napoletani erano simpatici».
Non lo sono più?
«Ancora sì. Ma in tempi di crisi economica, le cose cambiano. Il clima è più ostile. C’è una campagna ultrà di odio razzista. Nella sera della finale di Coppa Italia c’è stata una somma di errori delle istituzioni, sportive e non. Il Napoli aveva già giocato a Roma durante la stagione, perché quella sera le cose andarono in altro modo? Ora piangiamo la morte di un giovane tifoso: l’ultima offesa è stata piantonarlo in ospedale».
Che Napoli era quella del 1984?
«La Campania aveva ministri e sottosegretari al governo, la città grandi prospettive di crescita, si costruiva il Centro Direzionale, non come oggi, una città immobile in cui Bagnoli non parte mai. E la camorra esisteva anche allora».
El Mundo Deportivo titolò: “Maradona è cosa nostra”. L’inviato della tv francese Alain Chaillot parlò di soldi della camorra.
«Per un parigino, se un napoletano poteva spendere quei soldi, era la prova che fossero della camorra. Ero stanco. Quando sentii la domanda, lo espulsi dalla conferenza stampa».
Mai avuto dubbi sullo scudetto perso col Milan nel 1988?
«Tutta Napoli ne ha avuti. Io ho indagato, ho preso informazioni, non ho mai scoperto niente. Fu un crollo fisico, aggiunto all’odio della squadra verso l’allenatore Bianchi».
In un’altra città italiana Maradona avrebbe avuto una vita diversa?
«Napoli era l’ideale per lui. Non è mai stata una città razzista e ha sempre amato gli estrosi. Se non avesse avuto quel difetto, Diego avrebbe giocato altri cinque anni. Non l’avrei venduto mai. Ce lo tolse Blatter. Un giorno mi chiama e dice: la neve caduta è diventata una valanga. Fu un esproprio. Ma pretesi dal Siviglia l’intera cifra del rinnovo contrattuale».
Non aveva sospetti sui vizi di Maradona?
«In Spagna dicevano fosse indisciplinato, ma si parlava di night. Attribuivo le voci al fatto che il mondo catalano, nella sua fierezza, non potesse accettare che una stella volesse andare via. Bisognava rischiare».
Il vostro primo incontro?
«A Barcellona. Mi invitò a casa sua, una villa molto bella. Arrivai di notte e ripartii poco dopo.
Lui era con Claudia, la sua fidanzata. Pensai: a Napoli dove gliela trovo una villa così? Allora nel contratto feci prevedere che l’alloggio fosse a carico suo».
Perché i vostri rapporti furono così burrascosi?
«Un mese sì e un mese no. Io rappresentavo la società, l’ordine, il dovere. Lui ha natura da ribelle, ma è un ragazzo d’oro. Una persona che rispetta la parola data. Averlo portato in Italia per me è una medaglia e non avevo i soldi dei diritti tv. Oggi nessuno potrebbe prendere Messi. Ero nel calcio da 15 anni. Il Napoli si piazzava secondo, ottavo, quarto. Mi dissi: o smetto o compro Maradona».
La molla del quindicesimo anno scatterà anche per De Laurentiis?
«È una domanda per lui. Io ho lasciato alla città una squadra che ha vinto due scudetti. Per vincere si devono fare i debiti».
Il suo Napoli ne fece, anni dopo fallì.
«Incassavo 25 miliardi di lire e ne spendevo 35 di ingaggi. Un bagno. Quando Maradona andò via, non c’erano più né soldi freschi né banche disposte a prestarne. Era pure caduto il mondo politico che faceva da garante».
Perché non è mai più andato al San Paolo?
«Allo stadio sono andato per l’Italia. Il Napoli lo guardo in tv e solo il primo tempo. Ho paura dell’infarto. Il secondo tempo non ha sentenze d’appello. Amo troppo il Napoli e Napoli. Ho provato a vivere fuori. Un periodo a Roma, un altro a Milano, ma la sera ero sempre in compagnia di napoletani. A quel punto meglio tornare a Napoli: ce ne sono di più».
Le manca il calcio?
«Per niente. La domenica era il giorno più brutto della settimana, non mi apparteneva, adesso invece è un giorno mio. Mi sveglio quando voglio, mi alzo e vado a raccogliere margherite nei prati».
Angelo Carotenuto