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 2014  giugno 29 Domenica calendario

SCHIAFFO A ORSONI IL GIUDICE RESPINGE IL PATTEGGIAMENTO “PENA TROPPO BASSA”


Troppo pochi quattro mesi di carcere. Troppo pochi 15mila euro di multa. Su questi due numeri frana il patteggiamento dell’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. «Anche a tenere conto dell’atteggiamento processuale dell’indagato e del venir meno della sua carica — scrive il Giudice per l’udienza preliminare Massimo Vicinanza, nell’ordinanza di rigetto — non può non notarsi che le condotte da lui tenute sono molto gravi, sia per l’entità del contributo illecito ricevuto, sia per la provenienza del denaro, sia per l’inevitabile rischio per la corretta gestione della cosa pubblica ». E nonostante Vicinanza sia il secondo giudice, dopo il Gip Alberto Scaramuzza, a mettere il timbro sulla fondatezza delle accuse contro di Orsoni (560mila euro di finanziamento illecito per le amministrative del 2010, provenienti dal Consorzio di Mazzacurati e frutto di sovraffatturazioni), ieri ad esultare è stato proprio lui.
Un po’ come con le elezioni politiche, quando nelle dichiarazioni del giorno dopo tutti hanno vinto. O almeno, nessuno ha perso. «Ci speravo, finalmente mi potrò difendere a 360 gradi — commenta Orsoni — questa prerogativa fino ad oggi mi è stata negata. Sono innocente, e lo potrò dimostrare in un processo». Come se non l’avesse chiesto lui di patteggiare, dopo otto giorni ai domiciliari nella sua casa di tre piani affacciata sul Canal Grande. «È stata una goccia di sangue che ho dovuto versare», disse a proposito nel primo giorno di libertà riacquistata, in un’intervista a Repubblica. Patteggiamento, spiega oggi, dettato dalla necessità di «tutelare l’amministrazione e la città, ben consapevole della insussistenza della fattispecie di reato ipotizzato». Ora però lo nega: fu la procura a proporre il patteggiamento, sostengono i suoi legali Mariagrazia Romeo e Daniele Grasso. Versione smentita con forza dai tre pm e dal procuratore aggiunto Carlo Nordio.
Troppo pochi quattro mesi di carcere, dunque. «È del tutto incongruo — scrive il Gup — che la detenzione sia inferiore a quella minima prevista (6 mesi per il finanziamento illecito, ndr)». Troppo pochi i 15mila della multa. «Incongruo che sia oltre cento volte inferiore a quella massima erogabile», tenuto conto dell’entità dei soldi che, secondo l’accusa, furono versati in due tranche da 110mila e 450mila al mandatario del comitato elettorale di Orsoni. Somme che spuntarono fuori senza essere state deliberate dagli organi sociali del Consorzio Venezia Nuova e senza essere iscritte a bilancio come finanziamento elettorale, generate da una serie di fatture di operazioni inesistenti, versate ai consorziati San Martino, Clea, Bosca srl e Cam Ricerche srl. «Siamo stati troppo buoni? — ragiona Nordio — Beh, è la dimostrazione ulteriore che quel fumus persecutionis di cui si sono lamentati alcuni indagati non esiste proprio».
Negli ultimi dieci giorni gli avvocati di Orsoni avevano lavorato per dimostrare che la qualificazione del reato ai suoi danni, finanziamento illecito ai partiti, non era corretta, perché il candidato sindaco non rientrerebbe nelle categorie indicate da una legge del 1981 che lo estende ai parlamentari e ai consiglieri regionali, provinciali e comunali. Ma la richiesta di assoluzione avanzata dai due legali è stata respinta.
Nel suo interrogatorio preludio alla revoca dei domiciliari l’ex sindaco di Venezia raccontò ai pm Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini di essere stato spinto da alcuni esponenti del Partito democratico veneto a rivolgersi a Mazzacurati per reperire fondi per la campagna elettorale che stava languendo, se confrontata a quella «milionaria » portata avanti dal suo avversario, Renato Brunetta. Il presidente del Consorzio, in precedenza, aveva messo a verbale di avergli consegnato denaro in mano direttamente a casa. Circostanza sempre negata da Orsoni. Il quale però, al magistrato che gli chiedeva se fosse mai capitato che Mazzacurati gli portasse delle buste con dei documenti, rispose: «Non lo escludo».

Fabio Tonacci, la Repubblica 29/6/2014