Roberto Mania, la Repubblica 29/6/2014, 29 giugno 2014
GUIDI: “L’ARTICOLO 18? LO STATUTO DEI LAVORATORI ORMAI È SUPERATO E AIUTEREMO L’EXPORT”
[Intervista a Federica Guidi] –
ROMA.
Un piano per sostenere il Made in Italy, per internazionalizzare le piccole imprese e creare un sistema per la distribuzione nel mondo dei nostri prodotti. È questo un pezzo delle riforme per la crescita che ci permetteranno una maggiore flessibilità nell’applicazione dei trattati europei. Federica Guidi, ministro dello Sviluppo economico, ne parla in questa intervista in cui, seppur a titolo personale, dice anche: «Definire lo Statuto dei lavoratori come un documento datato mi pare un eufemismo. Il mondo cambia e non si commette peccato mortale se si sottopone a una manutenzione una legge del 1970».
Partiamo dall’Europa, ministro. L’accordo tra i capi di governo è che ci possa essere una maggiore flessibilità nell’applicazione dei vincoli del Patto di stabilità a fronte di riforme a sostegno della crescita economica. Lei è proprio il ministro dello Sviluppo. Dal suo dicastero dovrebbero uscire molte delle misure destinate a sostenere la ripresa. Quali?
«Da quando è in carica questo governo, cioè da quattro mesi, tutti gli interventi sono stati adottati in direzione delle riforme. Abbiamo abbassato il livello di tassazione sul lavoro e sulle imprese, abbiamo definito un pacchetto di provvedimenti per dare slancio agli investimenti e rafforzare la patrimonializzazione delle imprese. C’è stato il decreto Poletti sui contratti a termine e ora è in discussione in Parlamento il Jobs Act. C’è stata la riforma della pubblica amministrazione. Ora stiamo lavorando, io e il viceministro Carlo Calenda, a un piano per il Made in Italy».
Un piano con quali contenuti?
«Il piano sarà definito nelle prossime settimane. L’obiettivo è quello di supportare l’internazionalizzazione delle nostre imprese facendo leva anche su una diversa organizzazione della distribuzione dei nostri prodotti all’estero e sul sistema fieristico. È una cosa che da noi non è mai stata fatta. E guardi che, anche con il mio stupore, quando vado all’estero continuo a constatare che c’è un grande interesse degli investitori verso l’Italia. Ciò che chiedono innanzitutto è meno burocrazia, più semplificazioni anche nell’avvio delle società. Sono riforme sostanzialmente a costo zero».
Lei annuncia un piano per il Made in Italy e vedremo come sarà nel dettaglio. Resta il fatto che spesso, molto spesso, i provvedimenti si annunciano e poi rimangono sulla carta perché ritardano i decreti attuativi. Il suo dicastero deve ancora approvare i decreti per misure adottate dai governi Monti e Letta. Quando preparerete leggi immediatamente applicabili?
«Guardi, le leggi autoapplicative sono uno degli obiettivi di questo governo. Certo non si può smantellare in quattro mesi un sistema che è costruito sui provvedimenti scritti, come si dice, “di concerto” tra ministri. Ci vuole tempo. Detto questo il mio ministero ha adottato tutti i decreti necessari per attuare le leggi dei precedenti governi. Non è ancora pienamente applicativa la norma sul credito di imposta sulla ricerca e l’innovazione perché manca la firma del ministro dell’Economia. Ma è questione di poco tempo».
Ma perché anziché incentivare sempre qualcosa non prende il “piano Giavazzi” che prevedeva un taglio di 10 miliardi l’anno di incentivi alle imprese in cambio di una riduzione dell’Irap? Non crede che anche le aziende ne sarebbero avvantaggiate?
«Non conosco nei dettagli il piano del professor Giavazzi, penso però che l’impatto sui conti pubblici di un’operazione di questo tipo non sia proprio neutro».
Con la politica degli incentivi qualche volta sbagliate anche obiettivo. La Cgia di Mestre sostiene che la tanto sbandierata riduzione del 10 per cento del costo dell’energia a favore delle imprese, in realtà lascia fuori l’85 per cento delle imprese, quelle di dimensioni più piccole, perché non raggiungono la soglia minima di 16,5 chilowatt di consumo. Un autogol?
«Noi abbiamo numeri diversi, altrimenti non avremmo adottato quel provvedimento. Non so come e sulla base di quali dati la Cgia di Mestre arrivi a quelle conclusioni. Noi siamo certi che il beneficio andrà a larghissima parte delle piccole e medie imprese e degli esercizi commerciali».
Anche Trenitalia e Ntv protestano: dicono che, con il taglio di alcuni incentivi, dovranno ridurre il servizio.
«Senta la norma che garantiva un trattamento di favore alle ferrovie risale al 1963, io sono nata nel 1969. Credo che da allora ad oggi molte cose siano cambiate».
La contestano anche i produttori di energie rinnovabili.
«Veramente protesta il 4 per cento delle imprese del fotovoltaico. Sono ottomila imprese su 200 mila del settore che però riceve il 60 per cento di tutti gli incentivi. Chi protesta difende posizioni di rendita. È un sacrificio modesto quello che abbiamo chiesto loro».
Ma perché ha reintrodotto l’anatocismo, cioè il pagamento degli interessi sugli interessi, con il decreto sulla competitività?
«La genesi di quella parte del decreto sta al ministero dell’Economia. Comunque il Parlamento può migliorarla o modificarla».
Da leader dei Giovani industriali di Confindustria lei prese posizioni sempre molto nette contro l’articolo 18. Una parte della maggioranza, penso ai senatori Ichino e Sacconi, ora vuole cambiarlo. Qual è la sua posizione ora?
«Ero molto giovane e facevo anche un mestiere molto diverso. Penso che oggi sia una tragedia la disoccupazione giovanile al 46 per cento. Questa è la coda velenosa di una lunghissima crisi».
D’accordo, cosa pensa del superamento dello Statuto dei lavoratori?
«Non è la mia materia, dunque parlo a titolo personale. Penso che definire lo Statuto un documento datato sia un eufemismo. Non si commette peccato mortale se si pensa a un intervento di manutenzione. Il mondo evolve. C’è bisogno di maggiore flessibilità in uscita e in entrata nel mondo del lavoro, ovviamente con tutte le necessarie garanzie. In ogni caso non ritengo che oggi l’articolo 18 sia una questione strategica per le imprese come forse lo è stata dieci anni fa».
Roberto Mania, la Repubblica 29/6/2014