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 2014  giugno 29 Domenica calendario

ROMANO PRODI

[Intervista] –
Ok a Juncker che «saprà scegliere le priorità» dell’Unione. Critiche a Cameron che «ha preso una sberla e porta la Gran Bretagna all’isolamento».
Appello a Renzi perché «dimostri di avere dietro un Paese forte come si è dimostrato lui sul piano personale». L’ex premier e presidente della Commissione Ue giudica l’esito del Consiglio europeo. «Ora – dice – la sfida è battere la burocrazia italiana per far camminare le riforme. E la flessibilità sui parametri va bene, ma non è decisiva. Deve cambiare l’intera politica del continente. Mai sentito parlare di Keynes? Lo ha fatto l’America di Obama, lo ha fatto pure la Cina. L’Europa li imiti, innanzitutto con una politica che abbassi il cambio euro-dollaro».
Presidente Prodi, lei conosce bene Jean-Claude Juncker. Contento della sua designazione a presidente della Commissione?
«Sì. Lo conosco da molti anni. È una persona di grande intelligenza e forse lo statista che meglio capisce i meccanismi europei. Per questo non riesco a spiegarmi le critiche inglesi, a meno che non siano una provocazione politica»
Ma il vizio del fumo, e il bicchiere facile: accuse fondate?
«Tutti nella vita possono aver avuto momenti difficili. In ogni caso si tratta di un passato chiuso da tempo. E comunque posso testimoniare che la sua lucidità di giudizio non è mai stata minimamente intaccata. Piuttosto ricordo certe sue accanite battaglie per difendere gli interessi lussemburghesi sul segreto bancario e su alcune pratiche finanziarie che non mi erano piaciute. Sono convinto che ora sceglierà priorità diverse perché conosce l’importanza del suo ruolo».
Come sarà l’Europa di Juncker rispetto a quella di Prodi?
«Dal vertice di venerdì vedo emergere cambiamenti importanti sia in campo politico sia in campo economico. Il primo cambiamento, e il più significativo, è che finalmente i cittadini europei hanno potuto eleggere, sia pure indirettamente, il presidente della Commissione. Ora sarà più difficile accusare le istituzioni europee di un deficit democratico. Il secondo dato politico rilevante è che la Gran Bretagna appare sempre più isolata. Cameron ha preso una sberla molto dura. Francamente non riesco a capire il suo atteggiamento. Ha finito per far fare un passo avanti all’Europa contro la sua volontà. Se avesse evitato di chiedere il voto su Juncker avrebbe avuto più margini d’azione. Invece è andato a mettersi da solo in un angolo, e per di più in compagnia di un estremista come l’ungherese Orban».
La deriva inglese verso l’uscita dall’Ue è ormai inevitabile?
«Io non credo che Londra uscirà dall’Ue, anche se il governo britannico sembra fare di tutto perché questa deriva non si fermi. Ma di certo già oggi il Regno Unito appare sempre più isolato e marginale. Come, del resto, mi sembra che da questo vertice esca ridimensionato anche il ruolo francese».
E l’Italia? Come esce Renzi dal primo difficile confronto europeo?
«Renzi esce più forte sul piano personale. Ora però deve dimostrare di avere dietro di sé un paese altrettanto forte. E questo è più difficile. I problemi dell’Italia sono il suo debito più che il suo deficit, e la sua capacità di mettere in pratica le riforme più che quella di deciderle. I decreti di attuazione delle molte leggi che sono state varate sono ancora tutti da fare. E l’Europa, giustamente, guarda ai fatti concreti, non alle belle intenzioni e neppure alle leggi giuste ma inattuate. Renzi può aver vinto la battaglia contro i burocraticismi europei dei vincoli di bilancio, ma deve ancora vincere quella contro la burocrazia italiana».
E la guerra, neppure tanto sotterranea, sulla possibile candidatura di Enrico Letta o di Federica Mogherini?
«Quelle sono questioni di cucina politica interna al Pd in cui preferisco non entrare».
Ma almeno sui nuovi margini di flessibilità che il governo dice di aver conquistato in Europa si può pronunciare?
«La dichiarazione del vertice è più un atto di buona volontà che una decisione concreta. Quel che ne seguirà dipenderà soprattutto dal braccio di ferro interno alla politica tedesca tra falchi del rigore e colombe della crescita. La Merkel non ha fatto vere concessioni, ma ora anche in Germania subisce forti pressioni perché, sul fronte della crescita e dell’occupazione, pure Berlino comincia ad avere problemi».
E allora come può cambiare la governance economica?
«Il problema è che oggi non serve discutere se cambiare i parametri. Renzi fa bene, nell’interesse dell’Italia, a cercare di guadagnare maggiori margini di flessibilità per i nostri conti pubblici. Ma, nell’interesse dell’Europa, quello che deve cambiare è l’intera politica economica del continente».
E in che senso?
«Mai sentito parlare di Keynes? L’America ha innescato per prima la crisi, ma con Obama ne è uscita più in fretta di noi grazie a una pura politica keynesiana. Lo stesso ha fatto la Cina. Lo stesso deve fare l’Europa. Certamente le politiche keynesiane si possono applicare solo quando esiste lo spazio economico per farlo. Ma con una bassa inflazione e una bilancia commerciale attiva, l’Europa questo spazio ce l’ha e dovrebbe approfittarne, innanzitutto con una politica che abbassi il tasso di cambio tra euro e dollaro».
E chi lo dice alla Merkel?
«Oggi ci sono le condizioni per farlo. Italia, Francia e Spagna in questa fase hanno le stesse esigenze. E quindi possono premere insieme per una politica economica diversa. La novità è che ora i socialisti francesi, dopo la batosta elettorale, hanno assolutamente bisogno di registrare un miglioramento dei dati economici per invertire il corso delle loro fortune politiche. Quindi un cambiamento delle politiche economiche è per la prima volta negli interessi non solo dell’Italia e della Spagna, ma anche della Francia. Il ruolo dell’Italia, che tra l’altro avrà adesso la presidenza dell’Ue, è uscito aumentato da questo vertice. Credo che Renzi potrebbe approfittare di questo concorso di circostanze favorevoli per cercare davvero di “cambiare verso” all’economia dell’Ue».
Andrea Bonanni