Gaia Piccardi, Corriere della Sera 30/6/2014, 30 giugno 2014
NIBALI È PRONTO A SEDURRE ANCHE IL TOUR «METTERÒ IL CUORE IN OGNI PEDALATA»
Il morso sferrato al Campionato italiano, sabato a Fondo (Trento), con la bocca spalancata, il pugno alzato a sfondare il cielo e le lacrime di chi aveva accumulato tensione e rabbia al livello di guardia, l’ha lasciato esanime (ieri non ha partecipato alla crono), però ancora affamato. Trecentonovantanove giorni senza vittorie sono lunghi (ultimo guizzo le Tre Cime di Lavaredo al Giro 2013) ma Vincenzo Nibali li aveva messi in conto. Da gennaio vive in funzione del Tour de France, il numero 101 della storia, al via sabato da Leeds: tre tappe in Inghilterra prima dello sbarco sulla Côte d’Opale (Le Touquet), che lancerà l’immensa volata — 18 tappe (1 a cronometro, 6 di montagna), 3.664 km totali (15,4 di pavé), 198 corridori — verso Parigi.
Lo squalo è pronto. Barba lunga, scavato in volto, asciutto (64 kg) come chi alla strada non desidera regalare niente, perché quest’anno l’asticella è più in alto e Nibali non si accontenterà dei déjà vu . Sul podio del Tour c’è già stato: terzo nel 2012, dietro Wiggins (tagliato dalla Sky!) e Froome, il grande favorito che insegue il bis. Lo squalo vuole di più. E la maglia tricolore con lo scorpione rosso sul petto è la risposta che cercava. Non è un chiacchierone, ma nemmeno chiuso come ce l’avevano annunciato. Pondera le risposte, sorride spesso, ha l’acume sospettoso dei siciliani e i piccoli tic dei timidi (grattatina all’orecchio, grattatina alla spalla). Ecco come Nibali Vincenzo da Messina, 30 anni il 14 novembre (scorpione), ha in mente di annettersi il Tour.
Vincenzo, il ciclismo è fatto di sacrifici e fatica. Chi sbanca il Tour si mette in tasca 450 mila euro, la paga mensile di un calciatore al top. Ma chi gliel’ha fatto fare?
(ride) «Non mi sentirà dire che ho un complesso d’inferiorità nei confronti del calcio. Come sport non mi è mai piaciuto: non amo il contatto fisico. Non nutro alcun rancore contro lo strapotere del pallone, non invidio né le Ferrari né le veline dei calciatori. Sono affezionato alla mia normalità».
Che risale agli Anni 90: vecchio telaio Pinarello dipinto di rosso da papà Salvatore, cicloamatore.
«La bici è una passione ereditata da lui, insieme all’ammirazione per Francesco Moser, che sono troppo giovane per aver visto correre. Ma a 12 anni avevo già un idolo tutto mio: Marco Pantani».
Croce e delizia degli italiani.
«Certo con il senno di poi, se devo valutare tutti i pro e i contro della sua carriera... Ma da ragazzino di lui mi piaceva tutto, ma proprio tutto».
Ha corso con la sua bandana?
«No. Ma con la sua sella sì».
Pantani era il Pirata, lei è lo Squalo dello Stretto. È un soprannome che le calza?
«Come carattere no, ma per lo stile di corsa mi rispecchia. Me lo affibbiò il presidente del fan club di Messina anni fa, a un Mondiale da dilettante. Lo striscione venne inquadrato dalla Rai e il soprannome mi è rimasto. El tiburon , in spagnolo. Sì, mi piace».
Musica, libri, hobby. Ci racconti cosa fa quando non pedala.
«Non amo la musica tagliavene, sono per i classici: U2, Vasco, il buon vecchio rock. Libri pochini... L’ultimo? La biografia di Novak Djokovic: certi aspetti della sua crescita mi sono piaciuti».
Diventare papà di Emma, lo scorso febbraio, come l’ha cambiata?
«Ha rivoluzionato me, mia moglie Rachele e il nostro nucleo famigliare. Di notte non ho il problema di svegliarmi per cambiarla perché dorme come un ghiro. Il peso maggiore, oggi, è restare lontano da casa...».
Ha una moglie comprensiva?
«Quando mi ha sposato ha fatto una scelta: sapeva che questo è il mio stile di vita. Non me lo fa pesare, no. Ci siamo conosciuti tramite un inciucio di Agnoli, il mio compagno di squadra. Colpo di fulmine».
Rachele è gelosa del bacio delle Miss?
«No! Non ne ha motivo».
Vincenzo, purtroppo il caso Ulissi ha riportato di recente il ciclismo in zona doping.
«A questa domanda, mi scusi, non rispondo. Diego è un mio amico».
Mi dica però se si aspetta un Tour mediamente pulito.
«La risposta è scontata: sì. Non lo metterò certo in dubbio io che lo corro. Io faccio tutti i miei controlli e penso che nessuno bari».
Tiene casa a Lugano e squadra (Astana) in Kazakistan. Cosa le manca di più della sua Sicilia?
«Gli arancini, i dolci, la pizza. E il mare. A Messina riesco a tornare solo a Natale e il bagno me lo scordo...».
Ci spiega la storia del richiamo scritto dell’Astana?
«Un’esagerazione. Non mi è arrivata nessuna lettera. È arrivata una mail aperta a tutta la squadra — corridori, fisioterapisti, massaggiatori, staff — per spronare il gruppo e spingerci a dare il meglio. Tutti».
Cosa ci sarà sul suo comodino al Tour?
«Il telefono per chiamare casa. Il Tour è così frenetico che la valigia la apri solo per estrarre il necessario. Né santini né amuleti, anche se sono credente e superstizioso».
Che Tour de France si aspetta?
«Una corsa lottata, giorno per giorno, tra mille difficoltà. Mi aspetto sorprese e imprese. Starò attento a non farmi sfuggire nulla e nessuno».
Teme più Froome o Contador?
«Ciascuno, il giusto, per le sue caratteristiche. Due grandissimi rivali».
Il ciclismo è più gambe, testa o cuore?
«Un mix. Ma senza cuore non ottieni niente. E io metto cuore in tutto ciò che faccio».
Nibali, tocchiamo ferro: se vince è disposto a farsi un tatuaggio o una cresta bionda alla Balotelli?
«Mmmmm... No, ad essere sincero non ne sento il bisogno. A 29 anni non sono più un ragazzino».