Sergio Romano, Corriere della Sera 30/6/2014, 30 giugno 2014
IMMUNITÀ E VINCOLO DI MANDATO RIFLETTERE PRIMA DI CAMBIARE
È giusto che un parlamentare eserciti le sue funzioni protetto da una certa immunità, come avviene in altri Paesi. Tuttavia sarebbe molto apprezzato da tutti gli italiani un previo, spontaneo e solenne atto di rinuncia all’immunità da parte di
ogni parlamentare, subito,
al momento della nomina.
Si può inserire nella legge almeno una raccomandazione in tal senso?
Riccardo Cesati
Ho scritto all’onorevole Luigi Zanda: «A lei che predica la libertà di mandato osservo che il candidato al Parlamento fa la sua campagna elettorale e chiede voti promettendo di perseguire determinati obiettivi; ma una volta eletto pretende di fare ciò che vuole, anche cambiare casacca, in forza della supposta libertà di mandato, tradendo quindi l’elettore. L’elettore dà il voto al candidato che soddisfa le proprie aspettative e ha il diritto di pretendere ciò che l’eletto ha promesso in campagna elettorale. Non Le pare?».
Angelo Tagliabue
Cari lettori,
Le due questioni — immunità e natura del mandato — possono sembrare diverse, ma le soluzioni adottate dai costituenti rispondono a una stessa logica: tutelare l’indipendenza del parlamentare.
Nel caso prospettato da Tagliabue, i critici dell’art. 67 («Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincoli di mandato») partono generalmente dalla premessa che il candidato debba restare fedele agli impegni presi durante la campagna elettorale. Ma quelle promesse sono molto spesso generiche, retoriche e fatte, per di più, in circostanze che possono cambiare nel tempo ponendo il candidato di fronte a situazioni impreviste. Chi invoca il principio della fedeltà al mandato, pretende in realtà, anche se non sembra esserne consapevole, che il deputato resti fedele al partito con cui è stato eletto. È indubbiamente utile che i partiti possano contare sulla disciplina dei loro parlamentari. Ma sino al punto d’impedire che qualcuno manifesti la propria indipendenza con una scelta diversa da quella che il partito vorrebbe imporgli? Forse che il partito non modifica mai i suoi programmi e non li adatta alle circostanze in cui deve operare? Un partito libero di agire secondo le proprie convenienze, ma autorizzato a esigere la disciplina cieca e assoluta degli iscritti, non è compatibile con una società democratica.
Quanto alla immunità, converrà ricordare che fu introdotta per proteggere i deputati dalla magistratura e dalla polizia quando l’una e l’altra erano strumenti del potere esecutivo. Le condizioni sono cambiate e il Parlamento ha dovuto prenderne atto, nel 1993, quando ha considerevolmente ridotto le prerogative di cui i parlamentari avevano goduto sino a quel momento. Ma se vogliamo che il potere legislativo conservi la propria indipendenza di fronte agli altri poteri dello Stato dobbiamo evitare che il deputato sia alla mercé di accuse infondate ed esposto al rischio di un uso strumentale della giustizia. Come ha ricordato recentemente Michele Ainis (Corriere del 28 giugno), l’immunità viene concessa alle funzioni, non alla persona.
Conosco le ragioni per cui la classe politica e il Parlamento suscitano oggi diffidenza e ostilità. Troppi scandali, troppi errori e, in parecchi casi, un uso spregiudicato e personale delle funzioni pubbliche. Ma non credo che queste siano buone ragione per abolire norme dettate dall’esperienza e dalle esigenze della democrazia.