Gianandrea Gaiani, Libero 29/6/2014, 29 giugno 2014
OBAMA PERDE ANCORA TEMPO PUTIN SI PRENDE ANCHE L’IRAQ
Vladimir Putin si conferma l’unico reale paladino “senza se e senza ma” della lotta al terrorismo islamico. Dopo aver sostenuto il regime di Bashar Assad contro ribelli in gran parte jihadisti e fornito armi e appoggio politico all’Egitto del generale al-Sisi temporaneamente emarginato da Washington, Mosca scende in campo per aiutare il governo iracheno a respingere l’offensiva dei qaedisti dello Stato Islamico di Iraq e Sham (ISIS). Le prime anticipazioni le aveva fornite il 26 giugno il premier iracheno Nouri Al Maliki al servizio in lingua araba della BBC annunciando l’acquisto di jet da combattimento di seconda mano in Russia e Bielorussia con i quali a breve sarà possibile contrattaccare con decisione i qaedisti. Al-Maliki ha sottolineato la rapida fornitura degli aerei russi in contrapposizione ai lunghi tempi imposti dagli Stati Uniti per la consegna dei 36 cacciabombardieri F-16, ordinati due anni or sono dei quali i primi 2 saranno consegnati solo il prossimo autunno. La conferma dell’impegno di Mosca l’ha fornita ieri il viceministro degli esteri russo Serghiei Ryabkov, che dopo un incontro con le autorità siriane a Damasco ha annunciato che «la Russia non rimarrà con le mani in mano di fronte ai tentativi di diffondere il terrorismo nel Paese e nella regione». Nei giorni scorsi le forze aeree siriane hanno colpito in più occasioni le postazioni dell’ISIS in Iraq fornendo un importante aiuto alle forze di Bagdad in attesa dell’arrivo dei jet russi e bielorussi. Velivoli dei quali non è noto né il numero né il modello ma è probabile che si tratti di almeno due dozzine di aerei per garantire la disponibilità operativa continua di almeno 4 coppie di velivoli. Quanto ai modelli potrebbe trattarsi di Mig-29 o più probabilmente dei meno sofisticati Sukhoi 25, aerei rustici concepiti per l’attacco al suolo.
L’accordo con Bagdad dovrebbe prevedere l’acquisto di un “pacchetto completo” che comprende pezzi di ricambio, servizi di manutenzione, tecnici e piloti. Gli iracheni non hanno certo il tempo per addestrare il loro personale sui velivoli russi poiché le esigenze belliche impongono il rapido intervento di una componente aerea in grado di offrire appoggio alle provate forze di Bagdad che stanno contrattaccando in queste ore a Tikrit. I russi del resto hanno già fornito gli elicotteri da attacco Mi-35 e Mi-28 impiegati in questi giorni contro l’ISIS. La rapidità e l’incisività dell’intervento di Mosca si contrappone all’ambigua posizione di Washington che ha inviato 180 consiglieri militari (su 300 previsti) il cui compito sembra essere quello di valutare le capacità delle forze irachene. Da ieri droni armati statunitensi Reaper, probabilmente basati in Giordania, sorvolano i campi di battaglia dell’Iraq del nord ma, come ha specificato un anonimo funzionario statunitense, non saranno usati per sferrare attacchi contro i qaedi sti: la loro presenza è solo una precauzione per salvaguardare diplomatici, civili e militari americani presenti a Bagdad.
Il governo di al-Maliki (di cui Washington vorrebbe le dimissioni benché solo un mese fa Barack Obama si sia congratulato con lui per la vittoria alle elezioni) non si fida più degli
Stati Uniti e per questo cerca nuovi partner per la guerra contro l’ISIS le cui avanguardie ieri combattevano ad appena una ventina di chilometri dalla capitale. Neppure la promessa americana di fornire entro i prossimi giorni 200 missili Hellfire (più altri 600 entro un mese) nell’ambito di un pacchetto di richieste che include armi leggere e soprattutto munizioni per cannoni, carri armati e armi portatili «made in Usa» in dotazione alle forze di Bagdad, sembra poter creare un nuovo clima di fiducia tra Iraq e Usa. Certo non contribuisce la richiesta della Casa Bianca al Congresso di stanziare altri 500 milioni di dollari per addestrare e armare i ribelli «moderati» siriani aiutandoli a «difendersi, stabilizzare le zone sotto il controllo dell’opposizione e facilitare la fornitura di servizi essenziali». Comprensibile la diffidenza di Bagdad considerato che l’ISIS ha invaso il nord Iraq dalla Siria utilizzando armi che sarebbero dovute giungere ai ribelli «moderati». Non è un caso che ieri a Damasco il viceministro degli esteri siriano Faisal Moqdad abbia equiparato i jihadisti iracheni ai “terroristi” siriani, criticando gli Stati Uniti per il sostegno agli insorti e dichiarando che «quelli che distinguono il terrorismo moderato da quello non moderato si illudono».