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 2014  giugno 29 Domenica calendario

SUPERAZIENDA BLAIR SPA DALL’ALBANIA AD ABU DHABI, LA DOLCE VITA DA CONSULENTE


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA — Un vecchio amico come Robert Harris lo ha ripudiato. «Non lo riconosco più». Il giornalista che scrisse «The Ghost», il libro fra realtà e finzione che narra la storia di un premier britannico chiamato a rispondere di crimini di guerra (poi divenuto film di Roman Polanski, «L’uomo nell’ombra»), era un fedele «partigiano» di Tony Blair. Il sodalizio si è rotto da tempo.
Qualche giorno fa, sul Guardian , Robert Harris ha scaricato addosso all’ex leader britannico nuovo veleno: «È un narcisista con il complesso del Messia e ha commesso un peccato mortale voltando le spalle alla politica per cui si è battuto per abbracciare la causa dei ricchi». Può essere che fra i due vi sia qualche questione personale rimasta in sospeso ma le parole di Robert Harris riassumono il pensiero di molti laburisti.
Il problema non è soltanto che Tony Blair appoggiò Bush nella guerra in Iraq, passando sopra la maggioranza pacifista del partito: un capo di partito e di governo ha il diritto, assumendosene poi la responsabilità, di decidere per propria intima convinzione che i despoti vadano eliminati con la forza, congelando le diplomazie. Il problema è anche che Tony Blair ha costruito un piccolo impero economico che si alimenta di ricche consulenze a governi che democratici non sono, a banche d’investimento, a fondi sovrani. Dov’è finito il Blair di una volta?
È destino che i grandi leader spacchino le platee. Il coraggio di prendere posizione, che piaccia o non piaccia, si paga a caro prezzo. A Tony Blair questa virtù non è mai mancata. Anzi. Ma oggi le critiche più pesanti che gli arrivano sono di altra natura e riguardano quei milioni di sterline che entrano nella fondazione, la «Tony Blair Associates», e nelle società a essa collegate. Tutto alla luce del sole. Fin troppo. Perché con sicura baldanza (e se la può permettere) Tony Blair gira il mondo dando consulenze agli arabi, ai palestinesi, alle potenze asiatiche, alle capitali europee. Gli affari vanno a gonfie vele, a tal punto che ha deciso di aprire un ufficio ad Abu Dhabi per rafforzare il suo ruolo nel Medio Oriente. «C’è una chimica speciale e particolare fra Tony e lo sceicco Mohammed bin Zayed», ha spiegato un collaboratore di Blair. I due condividono una forte opposizione all’islamismo integralista. Ma condividono pure le poltrone in uno degli scrigni del piccolo Stato, il Mubadala, ovvero uno dei fondi d’investimento controllati dall’emirato.
Abu Dhabi è l’ultimo capitolo della saga. A cavallo fra politica e affari, Tony Blair si destreggia con indiscutibile cinismo. La lista ufficiale dei contratti è di tutto rispetto. Il Financial Times ha scoperchiato l’altarino dei due milioni e mezzo di sterline annui versati dalla banca d’affari JP Morgan. Poi ci sono le collaborazioni con il governo brasiliano, con i governi africani (Ruanda, Liberia, Sierra Leone), con gli esecutivi di Albania e Romania, con il dittatore kazako Nazarbaev, con la Mongolia, con il Kuwait, con gli Emirati Arabi Uniti. L’uomo che fu l’architetto del nuovo laburismo è un consigliere fidato per le riforme politiche ed economiche, per gli investimenti, per i megacontratti petroliferi. Una rete capillare di lavori e commissioni.
L’esperienza, l’intelligenza, l’abilità dell’ex premier laburista si acquistano a peso d’oro. Chi ha provato a fare i conti in casa Blair sostiene che le entrate sfiorino i 100 milioni di sterline. Sparare a zero contro Tony Blair è diventato uno sport nazionale nel Regno Unito. Non c’è riconoscenza. È però sicuro che dal 2007 (l’addio a Downing Street) a oggi le sue finanze si siano gonfiate. Non è una colpa. Quanti prima lo vedevano come un condottiero invincibile, forse ne invidiano la scaltrezza e non tollerano il «tradimento». Ma, al di là delle polemiche sul tesoro accumulato, il vero punto debole di Tony Blair è il conflitto d’interessi. Lui ha ricevuto il mandato dal «Quartetto» (Unione Europea, Russia, Nazioni Unite, Stati Uniti) di mediatore in Medio Oriente. Delicato incarico politico e diplomatico. La domanda è semplice: può il consulente di una delle parti in causa (i governi arabi) essere equidistante leader capace di comporre il conflitto più lungo della storia? C’è chi spinge per il «licenziamento» di Tony Blair da quel ruolo affidatogli dal «Quartetto». Frettolose suggestioni. Ma Tony Blair dovrà scegliere. O fa il lobbista-consulente privato. O resta una risorsa per la diplomazia e la politica internazionale. L’ambiguità è il virus dell’ultimo Tony Blair.