Corriere della Sera 29/6/2014, 29 giugno 2014
DALL’IRAQ È PARTITO IL DOMINO ARABO
Uno dei punti di contrasto tra israeliani e siriani sulla definizione dei rispettivi confini nella Galilea settentrionale riguarda le mappe originali raccolte negli archivi di Francia e Inghilterra riferite agli accordi sulle frontiere coloniali dopo la Prima Guerra Mondiale e tracciate con matite color blu e rosso dalla punta troppo larga. Rapportate in scala reale, quelle linee diventano infatti larghe anche più chilometri sul terreno. Così, non è chiaro se la Siria abbia accesso alle acque del lago di Tiberiade nel suo settore Nord occidentale, come sostiene Damasco, oppure ne resti lontana almeno un chilometro verso le alture del Golan, come invece replica Israele.
Sembrano dettagli. Ma in realtà riassumono l’essenza dei problemi ereditati in Medio Oriente dagli assetti geo-politici dettati un secolo fa dalle potenze vincitrici sulle rovine dell’Impero Ottomano. Ora l’implosione dell’Iraq, la guerra religiosa tra sciiti e sunniti, la nascita de facto di uno Stato curdo, l’apparire di un’entità militante sunnita a cavallo tra Siria meridionale e province occidentali irachene ne sono le manifestazioni più evidenti.
Problemi enormi, causa di conflitti interminabili. All’origine sta una constatazione emersa chiaramente con lo scoppio delle «primavere arabe» nel 2011: la Grande Guerra in Europa giunse a conclusione solo dopo il 1945, ma paradossalmente in Medio Oriente resta aperta. Oggi larga parte del mondo arabo sta ridisegnando assetti, equilibri e soprattutto confini territoriali imposti dalle potenze vincitrici europee dopo le battaglie del 1914-18. Un fenomeno ancora più radicale della decolonizzazione dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Allora infatti i nuovi governi autoctoni, che fossero figli della rivolta algerina anti-francese o del colpo di Stato dei militari egiziani condotti da Gamal Abdel Nasser contro la monarchia filo-inglese, accettarono gli Stati nazionali così come definiti tre decenni prima. Ma adesso proprio quegli Stati, quei valori collettivi, vengono messi radicalmente in dubbio. Nascono nuove appartenenze, nuove aspirazioni nazionali. E’ una crisi identitaria profondissima, traumatica.
Per cercare di comprenderla occorre risalire ai patti segreti franco-britannici del marzo 1916, firmati rispettivamente da François Georges-Picot e Sir Mark Sykes, in cui Londra e Parigi si spartivano le «zone di influenza» con l’assenso di Mosca (poco più tardi i bolscevichi riveleranno al mondo quegli accordi trovati nelle carte del governo zarista). Soprattutto la Francia otteneva il controllo su Libano, Siria e di una fetta di Turchia meridionale. L’Inghilterra invece su Palestina, Transgiordania, Iraq e la «paternità» sull’Arabia Saudita. E intanto Londra pianificava di annunciare un «focolare ebraico» in Palestina in risposta alle crescenti pressioni del movimento sionista, visto allora come un potenziale alleato.
Circa un decennio dopo proprio quelle intese firmate «alle spalle degli arabi» verranno denunciate come un «tradimento» da Lawrence d’Arabia, l’ufficiale inglese che si era conquistato la fiducia dei grandi dignitari legati alla tribù degli Hussein (discendenti del Profeta) per creare un fronte anti-turco. «Era evidente, sin dall’inizio, che se avessimo vinto le nostre promesse sarebbero state carta straccia», scriverà nel suo libro-testamento, I Sette Pilastri della Saggezza , in cui emergono l’amarezza e il pentimento per aver avuto un ruolo centrale nella «rivolta araba». Tra i tanti disegni ventilati durante la Grande Guerra vi era quello di una «Grande Siria», che potesse includere Libano e Palestina. E persino la possibilità di uno Stato curdo indipendente comprendente Iraq settentrionale, Siria orientale e un pezzo dell’attuale Turchia sud-orientale.
Ma oggi proprio quei progetti stanno tornando all’ordine del giorno. La prospettiva della divisione dell’Iraq in tre Stati distinti è ormai molto reale. La Grande Siria sunnita, con il riferimento al Califfato, si estende al momento dalle propaggini occidentali di Bagdad a Mosul, Aleppo, Homs e Hama. A rischio implosione è anche la piccola Giordania, sempre più invasa dai profughi e presa di mira dagli estremisti sunniti. I curdi iracheni intanto si sono guadagnati sul campo il diritto allo Stato, cooperano con la Turchia e soprattutto hanno migliorato enormemente i rapporti con l’enclave curda in Siria. In modo violento e traumatico, il Medio Oriente sta infine scardinando i confini artificiali subiti cento anni orsono.