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 2014  giugno 29 Domenica calendario

LA GRANDE FUGA DEI BIMBI DALLA GUERRA DELLE BANDE

L’Honduras non figura, al mo­mento, nella lista dei Paesi in guerra. Come pure El Salvador e il Guatemala. Nel cosiddetto “Triangulo Norte” (Triangolo Nord) dell’America cen­trale l’epoca dei conflitti civili si è conclu­sa negli anni Novanta. «Ne è sicura?», do­manda José Guadalupe Ruelas García. «Guardi le finestre», aggiunge. A Teguci­galpa – dove l’attivista dirige l’Ong Casa A­lianza, impegnata nella difesa dell’infan­zia – le case hanno tavole di legno al posto dei vetri. Perché questi si infrangono trop­po spesso per le sparatorie quotidiane. Con 79 omicidi ogni 100mila abitanti, la nazio­ne si è conquistata il macabro primato mondiale: è il cuore nero della regione più violenta del pianeta. Il sindaco della vicina San Pedro da Sula ha incentrato la campa­gna elettorale sulla promessa della “bara gratuita”. Dato che le spese per i funerali divorano i magri bilanci, le famiglie sono corse in massa a votarlo. La morte è una presenza costante nelle strade hondure­gne. Tutti si sentono a rischio. «I più espo­sti sono, però, i mino­ri. Solo a maggio, ne so­no stati assassinati 102 – afferma Ruelas –. Ma­gari è vero: non c’è una guerra, perché un con­flitto implica due parti contrapposte. Qua c’è un caotico “tutti con­tro tutti”. Il cui risulta­to è una strage siste­matica dell’infanzia». Scandisce le ultime pa­role con estrema len­tezza Ruelas. È questa «strage sistematica dell’infanzia» il motore dell’impressionante esodo dei bambini non accompagnati verso gli Sta­ti Uniti. Già 52mila, dallo scorso ottobre, so­no stati fermati dopo aver attraversato “La Línea”, il confine. Entro quattro mesi po­trebbero essere 70mila, alcune Ong parla­no di 90. «Da gennaio, dall’Honduras so­no partiti 10mila minori. Alla fine dell’an­no saranno almeno il doppio. Nel 2013 e­rano stati 8mila – continua Ruelas –. Ci so­no adolescenti ma anche bimbi piccoli, di 8-10 anni. Ogni settimana, dal Messico – punto di passaggio obbligatorio –, sono rimpatriati 350 ragazzini. Dagli Usa arri­vano ancora in pochi perché l’iter è più lungo». Chi torna racconta di sequestri da parte dei narcos, pestaggi, estorsioni. Di amichetti rivenduti nel mercato della pe­dofilia o degli organi. Le violenze nel viag­gio verso l’El Dorado sono all’ordine del giorno. I migranti – perfino quelli baby – ne sono coscienti. Eppure accettano il ri­schio. «Perché fuggire è l’unica speranza di salvarsi – aggiunge Ruelas –. Dal venire uccisi o arruolati con la forza in una delle centinaia di bande che ha assunto il con­trollo del territorio». Grazie alle armi e ai ricevuti dai cartelli della droga messicani, per cui lavorano. Questi ultimi hanno or­mai trasferito le basi in Centramerica per eludere la pressione delle autorità.
Il “Triangulo Norte” è il rifugio ideale: le istituzioni sono deboli e corrotte, la po­vertà è diffusa. Un milione di bimbi non va a scuola. Ottomila vivono per la stra­da. «Facile per le ban­de reclutarli. Li utiliz­zano come “carne di cannone”, dati i livelli di violenza il “turn o­ver” criminale è con­tinuo », racconta l’at­tivista. Spesso sono i genitori o i nonni, da­to che madre e padre sono già emigrati, a spingerli a “andare al Nord”. Soprattutto le adolescenti che ri­schiano di essere tra­sformate in “novias comunitarias” (schiave sessuali) della banda. Tante fa­miglie vendono tutto ciò che hanno per pagare il “coyote” (trafficanti che “aiuta­no” a passare il confine). «Sempre di più non ce la fanno e partono senza». È un Paese in fuga l’Honduras: nel 2013 17mi­la famiglie hanno dovuto trasferirsi per gli scontri. Ogni giorno, migrano tra i 100 e i 300 adulti. A questi si aggiungono, in media, 55 minori soli. La metà, incredi­bilmente, arriva. Il resto si “perde” nel percorso. Qualche giorno fa, a Falfurrias, in Texas, gli antropologi forensi hanno scoperto varie fosse comune con decine e decine di corpi di migranti. Tra loro, an­che bimbi.