Giusi Fasano, Corriere della Sera 30/6/2014, 30 giugno 2014
GARLASCO, DOPO SETTE ANNI LA SCOPERTA: «SCAMBIATI I PEDALI DELLA BICI DI ALBERTO»
C’è una bicicletta nera da donna che una testimone vede davanti alla villetta di un delitto. Ce n’è un’altra bordeaux che su un pedale ha le tracce biologiche della vittima. E sette anni dopo l’omicidio c’è un colpo di scena.
Questa storia comincia nella sede di una storica azienda di Monza che costruisce biciclette, la Umberto Dei. L’amministratore delegato della società ha davanti l’avvocato Gian Luigi Tizzoni ed è al telefono con un tecnico del suo magazzino. La voce che arriva dall’altro capo del filo gli sta dicendo che sì, tutto coincide. I pedali di cui parla l’avvocato sono proprio quelli che da sempre loro montano sul modello Giubileo da uomo. Si chiamano Union . Non c’è margine di dubbio. Sigle, gomma, catarifrangenti, scritte, forma, misure: torna proprio tutto. Tutto, tranne un dettaglio fondamentale. E cioè il fatto che quei pedali non sono stati trovati sulla Umberto Dei da uomo bordeaux, dove aveva senso che fossero, appunto, ma sulla più modesta Luxury nera da donna che, di suo, dovrebbe avere pedali di una linea ben più sportiva.
Stiamo parlando dell’omicidio di Chiara Poggi, a Garlasco, e delle due biciclette di Alberto Stasi, suo fidanzato e da sempre unico sotto accusa per il delitto. La domanda è: perché mai i pedali «Union» di quella più preziosa sono stati montati sull’altra? Dettaglio non di poco conto davanti al quale si potrebbe ipotizzare che qualcuno li abbia scambiati. Per quale motivo?
In una memoria che l’avvocato Tizzoni, per conto della famiglia Poggi, ha appena depositato alla Corte d’appello (dov’è in corso il nuovo processo contro Alberto dopo due assoluzioni e la sentenza della Cassazione che ha ordinato ai giudici di riaprire il caso) tutta questa faccenda dei pedali viene riassunta con una sola spiegazione: sono stati invertiti. O quantomeno: quelli montati sulla bicicletta bordeaux — che si chiamano Wellgo e sui quali c’erano tracce del Dna di Chiara — non erano gli originali, trovati invece sulla Luxury nera.
Quindi la nuova ricostruzione che la parte civile ha messo a punto (e che in teoria anche il sostituto procuratore generale Laura Barbaini dovrebbe sostenere in aula) è la seguente: quella mattina Alberto ha usato la bicicletta nera per andare da Chiara, tornando a casa dopo averla uccisa ha lasciato sul pedale tracce del sangue di lei (i consulenti di Alberto negano che sia sangue), dopodiché, sapendo di una testimone che raccontava della bicicletta nera, ha scambiato i pedali convinto che gli inquirenti avrebbero sequestrato proprio quella nera da donna, visto che la testimone ne parlava, e non quella bordeaux che nessuno aveva collocato sulla scena del delitto.
E invece no. Per una serie incredibile di passaggi decisi da chi ha indagato e che visti oggi sembrano uno più illogico dell’altro, sette giorni dopo l’omicidio viene requisita proprio la Umberto Dei bordeaux. E non quella nera. Che soltanto dopo sette anni, un mese e mezzo fa, i giudici fanno sequestrare e portare in aula. Perciò solo adesso è stato possibile osservarla da vicino e scoprire che aveva «addosso», diciamo così, i preziosi pedali Union dell’altra: dettaglio certificato da documenti dell’azienda produttrice ora allegati agli atti del processo.
Il pasticcio infinito di questa bicicletta, è nato lo stesso giorno dell’omicidio, il 13 agosto del 2007. Chiara, 26 anni, viene trovata morta, con la testa sfondata, in fondo alle scale che portano in cantina, nella sua villetta di Garlasco. La trova Alberto, allora 24enne laureando alla Bocconi. Nel pomeriggio dello stesso giorno Franca Bermani, madre di una vicina dei Poggi, racconta ai carabinieri di aver visto davanti alla casa del delitto una «bici nera da donna con portapacchi posteriore» in una fascia oraria che poi risulterà compatibile con quella dell’omicidio. In caserma i genitori del ragazzo spiegano, in verbali separati, di avere tre biciclette: una Umberto Dei bordeaux, una grigia e una nera da donna. Mentre Alberto alla stessa domanda dice: abbiamo tre bici, una Umberto Dei bordeaux e altre due, una grigia e una rossa in soffitta. La nera non la cita (la Cassazione dirà poi che quest’omissione era un «potenziale indizio» contro di lui).
Il giorno dopo, mentre giornali e televisioni parlano della testimone e della bicicletta nera, il maresciallo della locale stazione dei carabinieri, Francesco Marchetto, scrive un’annotazione di servizio nella quale racconta: assieme al padre di Alberto, Nicola (morto a fine 2013 per un malattia) sono andato nella sua officina a controllare la bicicletta nera da donna della famiglia Stasi e ho deciso di non sequestrarla perché «non corrispondeva alla descrizione della testimone».
Però il maresciallo Marchetto non era presente durante la deposizione della teste, anche se poi, durante il processo di primo grado, ha giurato il contrario davanti al giudice. Può darsi che avesse letto il verbale. La cosa certa è che un reperto potenzialmente così importante è stato lasciato fuori dall’indagine per presunte discrepanze — così ha spiegato il militare — su dettagli come le molle sotto la sella e il cestino. E ancora: il sottufficiale ha giurato per quattro volte in aula che la bici vista da lui non aveva il portapacchi. E invece si scopre, adesso che è stata portata davanti ai giudici del nuovo processo, che il portapacchi c’era e aveva anche il mollettone descritto dalla testimone, quello per tenere fermi i giornali.
Giuseppe e Rita Poggi hanno denunciato il maresciallo per falsa testimonianza (il processo è ancora aperto) convinti che, dopo la deposizione della signora Bermani, davanti a una bicicletta nera da donna il sequestro fosse praticamente obbligatorio.
Ora, può anche darsi che alla fine di tutto il percorso giudiziario biciclette e pedali si rivelino ininfluenti. O che Alberto Stasi possa chiarire come, quando e perché i pedali della Umberto Dei sono finiti sulla bici nera. Ma, comunque vada a finire, il caso Garlasco oggi ha una certezza: la «bicicletta nera da donna» doveva entrare nelle indagini il 13 agosto del 2007.
Giusi Fasano