Ansa 29/6&2014, 29 giugno 2014
di Alessandra Baldini-ANSA New York, 27 giugno 2014. "Blogger fatigue" al New York Times: una buona meta’ dei "diari online" in cui reporter e redazioni del piu’ influente quotidiano americano si potevano esprimere piu’ a ruota libera che in pagina o sul sito verranno chiusi nei prossimi mesi
di Alessandra Baldini-ANSA New York, 27 giugno 2014. "Blogger fatigue" al New York Times: una buona meta’ dei "diari online" in cui reporter e redazioni del piu’ influente quotidiano americano si potevano esprimere piu’ a ruota libera che in pagina o sul sito verranno chiusi nei prossimi mesi. E’ la sorte capitata di recente a "Green", il blog sull’ambiente, e che tra poco tocchera’ a "The Lede", il seguitissimo blog che affrontava come "running story" in divenire il fatto del giorno. "Continueremo a fornire contenuti con un tono piu’ colloquiale, solo non sara’ piu’ nel formato tradizionale dei blog in ordine cronologico inverso", ha spiegato il vice direttore Ian Fisher a Poynter, un sito specializzato in questioni editoriali. "The Lede" sara’ il decimo blog chiuso dal New York Times e altri ne verranno, ha detto Fisher. "E’ un processo cominciato un anno e mezzo fa", ha confermato la portavoce Eileen Murphy. Fisher non ha voluto precisare quali blog scompariranno se non per rassicurare i lettori che i seguitissimi "DealBook" (finanza), "Well" (salute), "Bits" (informatica) non spariranno nel breve periodo. Quando i blog erano comparsi sul New York Times una decina di anni fa era stata la certificazione di un nuovo modo di far giornalismo, piu’ personale e "orientato" rispetto alla tradizione. "All The News That’s Fits to Print" (Tutto quel che vale mettere in pagina) come sta scritto sulla testata del quotidiano della famiglia Sulzberger, ma anche i fatti non piu’ cosi’ separati dalle opinioni come e’ regola aurea del giornalismo anglosassone. Era stato un modello vincente, cosi’ vincente che alcuni blogger come Nat Silver del Times e Ezra Klein del Washington Post, avendo raccolto montagne di seguaci per il loro valore, non il marchio della testata, hanno finito proprio quest’anno per mettersi in proprio. Ufficialmente il Times non ha collegato la morte dei suoi blog al trionfo di quelli che negli Stati Uniti sono stati definiti i "brand journalists". Sono state tante, secondo Poynter, le ragioni dietro la decisione, a cominciare da una puramente tecnica: il software dei blog non funziona bene con il recente restyling del sito. Alcuni blog poi sono popolari, ma altri "ricevono pochissimo traffico e richiedono una enorme quantita’ di risorse perche’ il blog e’ un animale che ha continuamente fame", ha detto Fisher secondo cui alla fine "i lettori saranno contenti e la qualita’ del Times migliorera’ perche’ i giornalisti non saranno costretti a riempire artificialmente il blog con contenuti artificiali o di scarsa rilevanza". (ANSA).