varie, 30 giugno 2014
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 30 GIUGNO 2014
Rosita Raffoni, 16 anni. Studentessa modello al liceo classico Morgagni di Forlì, viso delicato, da ragazza d’altri tempi, viveva in una villetta su due piani, coi genitori e il fratello maggiore, a Fratta Terme, frazione di Bertinoro. Martedì 17 giugno, il giorno prima dell’inizio della maturità per il fratello (lei aveva appena finito il terzo anno), salendo dalle scale antincendio si arrampicò sul tetto della scuola, girò un video lungo quasi quaranta minuti in cui, la voce pacata, accusava i genitori di averle reso «la vita impossibile» a forza di divieti, vessazioni, critiche e mortificazioni: «Mi sento in prigione, tutto mi è vietato, persino una pizza con gli amici. Spero che ci sia giustizia per questa mia morte. Spero che i carabinieri facciano un’indagine». Poi posò il cellulare accanto allo zainetto, si tolse le scarpe, si girò di schiena e si lanciò nel vuoto andando a schiantarsi in cortile. Volo di oltre trenta metri [1].
Nel video si vede pure Rosita che, prima di buttarsi giù, prova a uccidersi segandosi le vene con un coltello [2].
Trascorsi nove giorni dal suicidio, dopo una perquisizione in casa della famiglia, in cui sono stati sequestrati il diario della 16enne, il pc e altri fogli, il padre e la madre, entrambi cinquantenni, sono stati iscritti nel registro degli indagati per maltrattamenti con l’aggravante della morte della persona offesa e istigazione al suicidio [3].
La ragazza, in una lettera trovata nel suo zainetto, scrive di aver manifestato più volte ai genitori l’idea del suicidio senza che ne tenessero conto. Di qui l’accusa di istigazione [4].
Il padre di Rosita, un libero professionista che non lavora da qualche anno ma ha buone disponibilità finanziarie. La mamma, di mestiere insegnante [4].
Uniche parola dette dal padre di Rosita a un giornalista: «Non ho niente da dire, preferisco restare in silenzio» [2].
«La ragazza del paese a scuola andava benissimo. Aveva la media del 9,25. Sarebbe dovuta partire per la Cina, per un anno di studi all’estero. L’iscrizione era stata formalizzata, la retta pagata. Ma mamma e papà si sono opposti. Le hanno detto un no, l’ennesimo. Le era stato negato l’acquisto di un iPhone, non si era potuta mettere su Facebook. Andava in palestra, ma rimaneva in disparte. E l’aver iniziato a impegnarsi come animatrice d’oratorio, a Forlì, non le era bastato a superare ostacoli e difficoltà e rifiuti, rompendo l’isolamento in cui sembrava chiusa, lontano dal liceo. Raccontano in paese, senza cattiveria, straniti e addolorati: “Non usciva con le amiche. Si vedeva sempre da sola. Quando scendeva dal pullman, di ritorno da scuola, i genitori dal balcone la seguivano con lo sguardo. Il padre e la madre sono persone chiuse, restie a dare confidenza. Stanno sempre sulle loro”» (Lorenza Pleuteri) [1].
«Ci sono tante voci, certo. Ma come distinguere? S’è detto ad esempio che l’ultima crudeltà di due genitori troppo severi sarebbe stata il negare a Rosita il permesso di frequentare il quarto anno di liceo classico in Cina, un’opportunità che lei si era conquistata in un progetto formativo. Ma davvero è stato un “no” definitivo, e non un semplice “no” urlato in un litigio, ma destinato a essere disatteso? Non si sa. Al liceo Morgagni dicono che, per quel che risulta loro, Rosita l’anno prossimo sarebbe andata in Cina, dicono che agli scrutini l’avevano congedata così, e che l’iscrizione per l’anno prossimo non era stata rinnovata. Chi lo sa. Come chi sa davvero quanto soffocanti siano stati i divieti di questi due genitori forse in guerra con il mondo: niente cellulare e niente Facebook, niente vacanze indipendenti e niente fidanzati. Di certo c’è che Rosita è una vittima: non è stata capita, e forse non è stata amata o almeno non ha potuto percepire di essere amata. Ma chi ha il coraggio di puntare l’indice contro i genitori? Eppure molti lo stanno facendo, forse per rassicurarsi, per pensare che una cosa così può succedere solo a gente pazza o cattiva, mai a genitori come noi» (Michele Brambilla) [5].
Don Enzo, il prete della parrocchia di paese: «Rosita era timida e riservata, interveniva, ma non l’ho mai sentita dire più di due frasi di fila. Non dava confidenza. Se avessi intuito che cosa le bruciava dentro, avrei cercato di sollecitarla. Non credo che il suo sia stato un gesto deciso in un istante. Secondo me lo ha meditato, pianificato. E come si fa a dire che è colpa dei genitori? Quale adolescente non si sente stretto nella famiglia?» [1].
Don Zannoni, che da tre anni al liceo Morgagni aveva come alunna la ragazza, e continua a definirla «intelligentissima, la migliore che avessi». «Mi sembra che i magistrati si stiano concentrando troppo sulla contingenza del fatto, in realtà mi sembra che il gesto sia stato premeditato. Vuole sapere perché la penso così? Io nell’istituto sono uno degli addetti alla sicurezza: bene, nonostante ciò, io non sapevo che ci fosse una botola che dalla scala di emergenza portava sul tetto. Nessuno lo sapeva. Secondo me lei era già stata lassù». Anche sulla questione della Cina il professore di religione non è molto convinto: «Se anche gli hanno detto che non la mandavano in Cina, poteva bastare questo a portare al gesto che ha fatto? E poi tutti sapevamo che la questione era già decisa: lei era già iscritta a scuola laggiù, e noi eravamo dispiaciuti che una studentessa così brava partisse via per un anno» [6].
La ragazza non ha avuto un funerale. I genitori l’hanno subito fatta cremare e seppellire. Però i compagni di scuola e i professori hanno voluto per lei una messa in San Filippo Neri. Seduti in prima fila, a capo chino, il padre, la madre, il fratello. Invitati personalmente da don Enzo, arrivano e se vanno dalla sacrestia, muti: «Sono venuti volentieri. Sono ancora un po’ tramortiti e forse non si rendono conto del linciaggio mediatico a cui ora rischiano di essere sottoposti» [6].
Lo psicoterapeuta Fulvio Scaparro: «Nessuno, di fronte a casi tragici come quello della ragazza suicida a Forlì, si dovrebbe sentire rassicurato per il fatto che forse, ripeto forse, sarebbero stati individuati i due colpevoli. Sappiamo che una comunità spaventata ha bisogno, se c’è una vittima, di trovare il carnefice su cui riversare la propria aggressività nell’illusione di alleggerire la propria angoscia. Meglio riflettere prima di condannare. I due genitori hanno visto realizzarsi il peggiore degli incubi: una figlia che, sentendosi incompresa, per gridare ai genitori “io esisto”, cessa di esistere. Per di più accompagnando il suo gesto con l’accusa nei loro confronti di non aver compreso e condiviso i suoi sogni. Immaginiamo il carico di sensi di colpa che padre e madre devono sostenere in questi giorni, il rimorso per non aver dato la dovuta importanza alle minacce di suicidio della ragazza, il dolore lancinante per la perdita subìta. La giustizia farà il suo corso e se ci saranno stati maltrattamenti, i responsabili ne pagheranno le conseguenze. Ma in attesa degli accertamenti, proviamo a pensare che questi genitori non sono maltrattatori ma simili a tanti altri, simili a noi stessi, talvolta troppo rigidi, talvolta non attenti ai segnali di sofferenza e depressione dei figli, spesso sinceramente convinti di far bene» [7].
Ancora Scaparro: «Molti, troppi, genitori oggi sono quasi paralizzati dall’idea che se si rifiutano di fare ciò che i figli vogliono, i ragazzi potrebbero ricorrere a misure estreme. Non è il “no” che i figli temono ma l’indifferenza, l’avvertire che i genitori non hanno voglia e tempo di conoscerli, di ascoltarli. La piaga dei suicidi adolescenziali non è una novità dei nostri giorni e non potrà mai essere totalmente debellata, anche se sembra crescente il numero dei ragazzi fragili che non possono contare sulla guida di adulti troppo spesso distratti e fragili a loro volta. L’esperienza ci ha insegnato che qualche forma di prevenzione funziona: stare vicini ai figli, ascoltarli e guidarli, anche con fermezza quando occorre, prestare particolare attenzione ai sintomi di depressione che in adolescenza possono tradursi in un’insostenibile sofferenza. L’adulto dovrebbe essere disponibile senza attendersi che l’adolescente faccia altrettanto: disponibilità vuol dire “presenza non intrusiva”, vuol dire essere pronti a dare, accogliere, raccontare le proprie esperienze, i propri sogni, dare esempio, dire “no”, ma anche sostenere, incoraggiare, quando occorre, evitando di sostituirsi al giovane» [7].
«Dicono che non esista un dolore più grande della morte di un figlio ma non è vero, un dolore più grande c’è ed è il suicidio di un figlio. E se poi questo figlio prima di togliersi la vita lascia detto che è colpa tua, c’è da chiedersi come si possa sopravvivere […] I magistrati decideranno se i genitori devono essere puniti in nome del popolo italiano. Ma quale giudice potrà mai infliggere loro una pena più grande, e più duratura nel tempo, di quella che già soffrono?» (Michele Brambilla) [5].
Note: [1] Lorenza Pleuteri, la Repubblica 27/6; [2] Romagnanoi.it 26/6; [3] Tutti i giornali del 27/6; [4] Franco Giubilei, La Stampa 26/6; [5] Michele Brambilla, La Stampa 7/6 [6]; David Marceddu, il Fatto Quotidiano 27/6; [7] Fulvio Scaparro, Corriere della Sera 26/6.