Luisa Leone e Anna Messia, MilanoFinanza 28/6/2014, 28 giugno 2014
RISCHIO DERBY DI STATO
Una è fatta. È andata in porto la prima delle privatizzazioni della lista elaborata dall’esecutivo Letta ed ereditata da quello guidato da Matteo Renzi. Fincantieri, detenuta dalla Cassa Depositi e Prestiti tramite Fintecna, venerdì 27 giugno ha concluso il collocamento di azioni a Piazza Affari e dalla prossima settimana inizierà le contrattazioni. Ora toccherà a Poste Italiane, Sace, Enav e Rai Way, che stanno tentando lo sprint finale per provare di chiudere la partita-dismissioni entro la fine dell’anno. Molta carne al fuoco insomma, che si va ad aggiungere ai numerosi collocamenti di società private. In tutto nel secondo semestre del 2014, secondo quanto spiegato a MF-Milano Finanza dal responsabile dei mercati primari di Borsa Italiana Luca Peyrano, dovrebbero essere circa una trentina le nuove ipo, di cui 20-25 sull’Aim, il mercato delle pmi, e il resto sul listino principale. Se dunque l’intenzione è quella di rispettare gli impegni presi dal governo, che dalla vendita di quote di partecipate statali ha previsto di incassare entro fine 2014 tra 10 e 12 miliardi complessivi, il rischio è di finire incastrati in un ingorgo di matricole.
L’ipo di Fincantieri, apripista delle cessioni di Stato, ha infatti riservato più di una sorpresa. Nella tarda serata di venerdì 27 non c’era ancora l’ufficialità sull’esito dell’offerta, ma pare proprio che, visto il grande interesse del pubblico retail e la tiepida accoglienza degli investitori istituzionali, si sia alla fine deciso di ampliare la fetta di azioni destinate a i piccoli risparmiatori, incrementandola rispetto al 20% inizialmente previsto. Non solo. L’azionista Fintecna, che prevedeva di vendere in ipo 104 milioni di azioni, scendendo dal 99,36 al 61,35% alla fine avrebbe deciso di ridurre o azzerare la vendita della sua quota, di fatto rinunciando a un bottino di un centinaio di milioni. Conseguentemente anche il flottante di Fincantieri potrebbe essere inferiore al 38% previsto.
Dall’esperienza di Fincantieri lo Stato azionista trae due lezioni: da un lato che i piccoli risparmiatori sembrano aver fiducia nelle aziende pubbliche e nel loro futuro. Fincantieri non è certo una società tipica del portafoglio di un cassettista, eppure, forse anche grazie alla bonus share (un’azione gratis ogni 20 per chi le mantiene almeno 12 mesi) ha sbancato tra i privati. La seconda lezione è che la febbre da ipo e l’affollamento di collocamenti in borsa può creare competizione tra le società che decidono di debuttare e quindi sarebbe utile almeno evitare che società di uno stesso azionista, lo Stato, finiscano per farsi concorrenza tra loro. Negli ultimi giorni oltre a Fincantieri sono andate infatti in porto anche l’ipo di Fineco e quella di Cerved, oltre all’aumento di capitale di Monte dei Paschi. Insomma la volontà di chiudere tutte le privatizzazioni entro l’anno rischia di avere effetti controproducenti.
Anche perché in ballo ci sono partite miliardarie, come la cessione del 40% di Poste Italiane (oggi 100% Tesoro) da cui l’esecutivo conta di incassare almeno 4 miliardi in base a una valorizzazione di circa 10 miliardi. Si tratta probabilmente della partecipata statale che gli italiani conoscono più da vicino e che hanno visto crescere anno dopo anno, con un’offerta che si è rapidamente allargata dai prodotti postali alle polizze, ma anche ai conti correnti e ai servizi di telefonia. Quello di Poste Italiane è probabilmente il collocamento più atteso dai risparmiatori italiani e il governo ha già annunciato che nell’offerta potranno essere previste condizioni di favore per il retail. Inoltre i titoli potrebbero essere collocati nei circa 14 mila uffici postali del gruppo, un vantaggio considerevole.
Ma c’è più di qualche incognita che andrà chiarita prima di avviare l’operazione. Prima di tutto bisognerà attendere il 22 luglio, quando si alzerà il velo sul piano industriale del nuovo amministratore delegato del gruppo Francesco Caio, arrivato alla guida dell’azienda poco più di un mese fa. Ed è proprio il forte segnale di discontinuità impresso dal manager rispetto alla precedente gestione di Massimo Sarmi che lascia immaginare l’esigenza di far passare qualche mese in più rispetto al previsto prima di portare Poste Italiane in borsa. Caio in realtà ha già messo le mani avanti rispetto alla scadenza di fine anno affermando che «rappresenta una grande sfida cui non intende sottrarsi», ma aggiungendo allo stesso tempo che ci sono anche controparti istituzionali che devono intervenire nell’operazione.
A partire dalla Cassa Depositi e Prestiti, con cui Poste Italiane dovrà firmare una nuova convenzione per la distribuzione negli uffici postali dei buoni e dei libretti postali emessi dalla Cdp. Attività che, solo nel 2013, ha fruttato al gruppo postale commissioni per 1,6 miliardi. L’intenzione è quella di allungare la data della convenzione dagli attuali tre a cinque anni, per rendere così più stabili i flussi delle Poste Italiane ma ad oggi non c’è ancora la firma. Resta poi aperta all’Agcm anche la questione del perimetro servizio universale. Ma, al di là delle partite istituzionali, a stupire nella gestione Caio è stato soprattutto il consistente rimescolamento di poltrone attuato in poche settimane. L’ultimo cambiamento, avvenuto proprio venerdì 27, ha riguardato l’arrivo di Luigi Calabria da Finmeccanica, per assumere l’incarico di direttore della funzione Amministrazione Finanza e Controllo del gruppo. E solo qualche giorno prima lo stesso Caio aveva preso ad interim la funzione di responsabile delle risorse umane, chiamando come advisor addirittura l’ex direttore generale della Luiss Pierluigi Celli. Mentre Roberto Giacchi, attuale amministratore delegato di Poste Mobile, è stato nominato responsabile della divisione ribattezzata «Posta, Comunicazione e Logistica», che accorpa le funzioni di business dei servizi postali e logistici, oltre che il coordinamento delle controllate Mistral Air, Pacchi, Postel, Postecom, Sda e Poste Mobile.
Il valzer di poltrone non sembra finito. Per esempio, c’è ancora da scegliere il responsabile di BancoPosta, l’importante braccio finanziario del gruppo, e ci sono i cda di due controllate arrivati a scadenza lo scorso e il cui rinnovo viene rinviato di settimana in settimana. Il più importante è certamente quello di Poste Vita, che rappresenta metà del fatturato dell’intero gruppo. L’assemblea convocata martedì 24 giugno per il rinnovo dei vertici si è risolta in un nulla di fatto e l’appuntamento è stato rinviato al 16 luglio. Proprio come l’assemblea della controllata Banca del Mezzogiorno, convocata per venerdì 27 e rinviata a data da destinarsi. Insomma, il gruppo sta ancora prendendo forma sotto l’impulso della nuova gestione e forse il Tesoro dovrà attendere un po’ più del previsto per incassare i 4 miliardi programmati. Intanto però il ministero dell’Economia lo scorso aprile ha incassato 500 milioni a valere sul bilancio 2013, chiuso in utile per 846 milioni.
Arrivano invece segnali di accelerazione dall’altra ipo di Stato attesa a Piazza Affari, che riguarda l’assicuratore del credito Sace, controllata oggi al 100% dalla Cassa Depositi e Prestiti. Il decreto competitività pubblicato il 25 giugno in Gazzetta Ufficiale ha sciolto il nodo delle garanzie statali sulle operazioni non a mercato garantite dallo Stato e ha concesso anche alle assicurazioni di fare credito diretto alle imprese. Un assist per Sace, che da tempo chiedeva di avere a disposizione strumenti per finanziarie le aziende che assicura e per migliorare la competitività del sistema Italia. Ora l’amministratore delegato Alessandro Castellano è pronto a scrivere i dettagli del nuovo piano industriale in vista della privatizzazione, che potrebbe riguardare il 60% del capitale. E, come per Poste, anche in questo caso la pubblicazione è attesa a luglio.
Le altre due ipo di Stato che dovrebbero arrivare entro la fine dell’anno sono quella di Enav e quella di Ray Way. Per la società dei controllori di volo la scelta tra la trattativa diretta e l’ipo per la cessione del 49% non è ancora fatta. Anche se nel decreto che ha ufficialmente dato il via alla privatizzazione si esplicita una netta preferenza per il collocamento in borsa. Tuttavia solo giovedì 26 l’assemblea della società, che avrebbe dovuto approvare il bilancio 2013 e nominare un consiglio di amministrazione (oggi la società è guidata all’amministratore unico Massimo Garbini) è sta nuovamente rinviata e ora è prevista per l’8 luglio. La volontà di andare avanti con la valorizzazione di un pacchetto di azioni Enav però sembra dimostrata dal fatto che sempre giovedì 26 il ministero dell’Economia ha finalmente ufficializzato la scelta degli advisor per l’operazione: Rothschild, come consulente finanziario e lo Studio Shearman & Sterling come consulente legale. Anche Enav dovrebbe teoricamente sbarcare in borsa entro la fine dell’anno, quindi sfruttando la finestra di novembre-dicembre. Secondo i calcoli del governo, dalla cessione potrebbe valere circa 1 miliardo, dunque un’eventuale ipo non dovrebbe allontanarsi troppo da questa cifra.
Non ci sono ancora valutazioni invece per la cessione di una quota intorno al 25% di Ray Way, ma le cifre in ballo dovrebbero essere decisamente più contenute. La decisione di mettere sul mercato una quota della società, infatti, è arrivata in conseguenza dei tagli per 150 milioni che il decreto Irpef ha imposto alla Rai e la cifra che il management si propone di raccogliere non dovrebbe essere molto lontana da tale ammontare. Peraltro a una cifra simile si arriva partendo dall’enterprice value (650 milioni circa) della società che gestisce 2.300 antenne di trasmissione su tutto il territorio italiano. Al valore di 650 milioni si arriva partendo dal bilancio 2013 di Ray Way, chiuso con un fatturato di 219,2 milioni (l’83% dei quali garantiti dal contratto con la Rai), un ebitda di 86,4 milioni (il margine è del 39,4%), un ebit di 23,9 milioni e un utile di 11,8 milioni a fronte di debiti totali per 155 milioni e a un patrimonio netto di 137 milioni. Nonostante l’idea di portare la società sul mercato sia nata solo poche settimane fa, il direttore generale della Rai Luigi Gubitosi si è mosso con tempestività, scegliendo subito Banca Leonardo come advisor. E nel corso di una recente audizione in Parlamento si è detto fiducioso di riuscire a chiudere l’operazione entro fine anno.
Non andranno invece ad aggiungersi alla fila di matricole attese per l’autunno Grandi Stazioni, Cdp Reti e naturalmente StMicroelectronics, che è già quotata. Per quest’ultima si prevede il passaggio della quota oggi in mano al Tesoro, circa il 14%, alla Cassa Depositi e Prestiti. In particolare, la partecipazione, valutata circa 700 milioni, dovrebbe essere acquistata dal Fondo Strategico Italiano di Cdp, come sembra peraltro indicare la recente nomina del numero uno dello stesso Fsi, Maurizio Tamagnini, alla presidenza del consiglio di sorveglianza della società.
Per Cdp Reti è invece previsto l’ingresso di un partner con una quota fino al 49%. In corsa ci sono la State Grid Corporation of China e gli australiani dell’Industry Funds Management. Le offerte vincolanti sono attese entro l’estate. Come anticipato da MF-Milano Finanza, la società è appena stata trasformata da srl in spa e presto si procederà al conferimento nella scatola anche del 29% di Terna, che si affiancherà al 30% di Snam già custodito nel veicolo. Poi si potrà avviare la cessione, prevista entro fine anno. Così come entro fine anno dovrebbe arrivare la vendita del 60% di Grandi Stazioni in mano alle Ferrovie dello Stato, anche se il cambio al vertice del gruppo, con il passaggio di testimone da Mauro Moretti al nuovo amministratore delegato Michele Mario Elia, potrebbe rallentare un po’ l’operazione.
Luisa Leone e Anna Messia, MilanoFinanza 28/6/2014