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 2014  giugno 28 Sabato calendario

L’ETERNO DUELLO TRA I GEMELLI PD


È dunque la miglior legna da ardere, per giunta in estate, quella che da Parigi e da Londra, ma un po’ anche da Roma, è stata gettata sul fuoco dell’ormai conclamatissima rivalità fra Renzi e il suo predecessore Letta. Poi, certo, si può discutere sulle reali disponibilità di queste poltrone europee, sulle vere ragioni che muovono inglesi e francesi, così come sulle plausibili chiusure di Renzi nei confronti di Letta.
Il quale peraltro, già dieci giorni orsono, aveva giudicato «altamente improbabile se non impossibile» ottenere «una posizione di vertice» a Bruxelles per via di Draghi alla Bce.
Da quelle parti «gli equilibri e gli incastri», per i quali il premier ha ieri evocato l’accorta figura democristiana di Massimiliano Cencelli, trascendono tuttavia le beghe nazionali, scappatoie comprese. Dato che tutto più o meno è già accaduto, se ne può chiedere conferma a Giuliano Amato che candidato in un primo momento presidente della Convenzione europea, alla fine del 2001 dallo stesso Berlusconi, allora a Palazzo Chigi, venne prima disconosciuto e quindi retrocesso a vice di Giscard. Quando non è la geografia, infatti, è la famiglia politica, e adesso anche l’alternanza di genere.
Sennonché il gioco del potere sempre e comunque accende la fantasia degli spettatori, di norma vogliosi di assistere ai più cruenti duelli. Per cui, anche a prescindere da come andrà a finire, tra Renzi e Letta si apre e anzi s’intensifica un promettente ciclo di nevrosi agonistica ad alto impatto e dissimulata intermittenza.
La contesa si dispiega con rassegnata abitudinarietà. Ci sono sempre due galli che si scontrano, per lo più a colpi di disprezzo e risentimento, senza che mai si capisca bene chi ha cominciato e chi poi ha esagerato. In genere, a questo punto, va citato un poeta, Umberto Saba, che alza il livello e secondo il quale: «Gli italiani non sono parricidi, sono fratricidi. Romolo e Remo. Ferruccio e Maramaldo. Mussolini e i socialisti. Graziani e Badoglio». Questi due ultimi, generali del periodo fascista, a lungo rivaleggiarono in pace per poi ritrovarsi l’un contro l’altro dopo l’8 settembre: «Combatteremo - annunciò il primo - fratelli contro fratelli».
Ora è difficile scendere a livello della politicuccia. Ma anche nel corso della Prima e della Seconda Repubblica abbondano, pur con tutte le differenze, le coppie di privatissimi nemici e fratricidi continuativi: De Gasperi e Dossetti, Fanfani e Moro, Mancini e De Martino nel Psi; a loro modo anche De Mita e Forlani (con la variabile Craxi di mezzo) inscenarono un conflitto di questo tipo; mentre a sinistra, o meglio nel mondo postcomunista l’esempio di più durevole tenzone ha visto contrapposti per una ventina d’anni Veltroni e D’Alema. Quest’ultimo, peraltro, fu inizialmente distolto dallo scontro ingaggiato con Occhetto e poi da quello con Prodi, che nel 1998 sostituì a Palazzo Chigi, ma che l’anno seguente si preoccupò di spedire alla guida della Commissione europea, secondo l’adagio curiale «promoveatur ut amoveatur» - per quanto Prodi gli slanciò contro l’asinello al grido «competition is competition».
Inutile dire che nessuno di tutti i personaggi menzionati ha mai ammesso, né mai ammetterà il proprio coinvolgimento in queste guerre personali che pure il pubblico, vieppiù ammaestrato dai talkshow, segue con indubbia passione.
Del resto anche Renzi e Letta hanno sempre negato ogni sospetto di competizione personalizzata. Sin da quando, come racconta Davide Allegranti nel suo « The boy » (Marsilio), il sindaco di Firenze irrompeva platealmente in pulmino con i suoi seguaci al meeting estivo e lettiano di VeDrò, subito monopolizzando l’attenzione dei giornalisti presenti.
Perciò è inutile, anche se suscita sempre un po’ d’allegria, rammentare qui le frequenti rassicurazioni e le assidue promesse d’amicizia che i due galli presero a farsi l’un l’altro proprio quando le loro strade cominciavano a incrociarsi. Basterà qui il motto «Enrico stai sereno», destinato a restare prova della più sfacciata ipocrisia.
Anche la faccia di Enrico, d’altra parte, più che imbronciata durante il rito del passaggio della campanella, rappresenta un rimarchevole documento politico e sentimentale in questa stagione di giovanile inimicizia. Al solito, tutto cambia in Italia per rimanere uguale, almeno sul piano del più scontato e al tempo stesso mirabile intrattenimento.
Allo stesso modo, come ogni rivalità che divampi sotto gli occhi del pubblico, sia Letta che Renzi capiranno a tempo debito, magari troppo tardi, che starsi cordialmente sulle scatole e per ciò stesso farsi la guerra non avrà fatto bene a nessuno dei due quarantenni. E tuttavia, secondo leggi davvero molto antiche, desiderare le stesse cose nello stesso momento è una tentazione irresistibile del potere.
Così ogni moralismo, più che ingiusto, appare vano. Ma è pure vero che i duelli non solo consumano tempo ed energie, ma soprattutto fanno sbagliare; e quando è in ballo la politica internazionale, dove tutti si sentono grandi statisti, gli errori si pagano il doppio.

Filippo Ceccarelli, la Repubblica 28/6/2014