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 2014  giugno 28 Sabato calendario

MANZONI, MALAPARTE, BIANCIARDI. SCRITTORI PROFETI CHE PARLANO DI NOI

«La Repubblica, ahimè, sta molto male:/ ha già chiamato il prete al capezzale./ Or ch’è in punto di morte, al Padreterno/ l’anima affida e sol nel Papa spera./ E credi che se muore andrà all’inferno?/ Credo che se non muore andrà in galera». Questo epigramma non è stato scritto oggi, ma 65 anni fa, quando la nostra Repubblica vagiva in fasce. L’autore è Curzio Malaparte, certo non uno specchiato rappresentante dell’etica pubblicistica, ma pur sempre un grande scrittore e grandissimo giornalista. Ci è venuto in mente a proposito degli scandali politico-amministrativi che affliggono il nostro Paese e, di conseguenza, nel leggere quel che papa Francesco ne dice, suscitando incondizionato stupore negli italiani che in lui vedono una sorta di provvidenziale fustigatore.
Con questo epigramma, Malaparte dimostrava di conoscere l’Italia, fotografandola in quel momento (1949) e lasciandone un somigliantissimo ritratto per gli anni a venire. Ed è il caso, questo, degli scrittori impegnati civilmente: nel ritrarre il loro Paese e nel coglierne i difetti, essi si fanno veggenti. È come se la realtà finisse con l’adattarsi a quel che viene scritto. Per questo più delle analisi sociologiche e storiche, è la letteratura a spiegare un popolo, una nazione. Ognuno, a questo proposito, può pensare agli scrittori che più gli sembrano «profetici». Qui, a mo’ di esempio e per non farla lunga, si ricordano Napoleone Colajanni, che nel 1900 scrisse tutto quanto c’era da scrivere sulla mafia; Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che con Il Gattopardo seppe mostrare l’eterno trasformismo della politica italiana; Luciano Bianciardi, che nel 1962, con La vita agra , diede un ritratto di Milano che è quello di oggi. E si potrebbe continuare con Pasolini, Gadda e decine di altri.
L’Italia, fin da quando era una «espressione geografica» è stata sempre vista dai suoi scrittori per quello che è, vale a dire come un organismo malato, causa della sua stessa malattia. «Pentita sempre, e non cangiata mai», scriveva Manzoni, nel lontano 1802, al suo amico Francesco Lomonaco; e si riferiva all’Italia.
Matteo Collura