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 2014  giugno 28 Sabato calendario

QUANDO IL WEB RILANCIA LA STORIA

Chi ha detto che la storia è una ma­teria noiosa? Tutto dipende, ma va­le per qualsiasi materia, da come la si insegna. In tal senso Germano Maifreda (docente di Storia econo­mica e sociale dell’età moderna al­l’Università degli Studi di Milano e autore di un recente corso di storia per gli ultimi tre anni della scuola secondaria, Tempi moder­ni. Storia, cultura, immaginario , Pearson-Bruno Mondadori) guarda con favore alle nuove tec­nologie, sottolineando come grazie a esse negli ultimi anni la didattica della storia sia cambiata in meglio.
«La rete – spiega – ha reso disponibili a docenti e studenti una amplissima mole di testi, ausili di­dattici e documenti che hanno moltiplicato i punti di vista e le possibilità di approccio alla sto­ria, naturalmente se usati in modo critico. L’uso, sempre più diffuso anche se purtroppo ancora parziale, della Lim (lavagna interattiva multime­diale) consente oggi ai docenti di tenere lezioni più ricche e appassionanti, oltre che di lavorare con la classe coinvolgendola direttamente non solo nel momento della trasmissione dei conte­nuti, ma anche delle verifiche dell’apprendi­mento. La giusta insistenza dei programmi sco­lastici sulla didattica per competenze ha stimo­lato i docenti a superare un approccio nozioni­stico. Ma ci sono anche dei problemi aperti».

Quali, professore?
«Il problema principale è costituito dalla pro­gressiva riduzione delle ore a disposizione del­l’insegnamento della storia in quasi tutti gli in­dirizzi della scuola media superiore, che credo dovrebbe indurre il legislatore a una urgente revisione».
Ma qual è l’utilità specifica di questa disciplina in relazione alle caratteristiche degli adolescenti di oggi? Si dice spesso, ad esempio, che siano inca­paci di collocare i fenomeni in una prospettiva cronologica.
«La questione dell’incapacità di dare profondità storica ai fenomeni non riguarda solo i giovani, ma anche gli adulti. Poi non sono persuaso da fa­cili generalizzazioni sugli adolescenti di oggi né dalla categoria di ’utilità’ relativa alle materie di insegnamento scolastico. Proprio una visione u­tilitaristica degli studi ha compromesso l’eccel­lente qualità della scuola superiore e dell’uni­versità italiane, pretendendo di piegarle a ipote­tiche necessità del ’mondo del lavoro’. Al con­trario, è proprio una formazione il più possibile critica e non schiacciata su facili ricette a costi­tuire l’autentico vantaggio competitivo per chi oggi cerchi una collocazione lavorativa: chi la­vora nelle migliori aziende lo sa benissimo».

Un tempo si diceva che la storia è maestra di vi­ta e si invitavano i giovani a studiare il passato per comprendere meglio il presente. È un ap­proccio ancora valido?
«Andrebbe aggiunto che la storia va studiata so­prattutto per impedire che della storia stessa si faccia un ’uso’. Ogni giorno, nel dibattito pub­blico e nelle discussioni private, si richiama l’e­redità del passato come ineluttabile fardello sul presente: quasi sempre per giustificare pregiudizi, stereotipi o interessi di parte. Direi ai giovani: stu­diate la storia per impedire che di essa si faccia un uso strumentale, per non lasciarvi facilmen­te persuadere che le cose che non vi piacciono siano sempre state così».

A volte gli studenti percepiscono la storia come una materia arida: un elenco di nomi, date, bat­taglie ecc. Come far capire loro che non è così?
«Il segreto è il ricorso alle fonti. Solo leggendo e facendo leggere agli studenti le fonti, mostran­dole loro in forma il più possibile diretta, si può suscitare l’amore per il passato e far comprendere che il manuale è solo un comodo strumento, ma non è tutta la storia. La scelta e l’intepretazione dei documenti esaltano le competenze e la crea­tività del docente. Invito gli insegnanti a tornare negli archivi e portarci i loro studenti. In tutte le città, anche piccole, esistono patrimoni archivi­stici inesplorati: sono i laboratori di storia mi­gliori che esistano».

Quali sono gli errori da evitare nell’insegnamen­to della storia affinché gli studenti non finiscano per odiare questa materia?
«Vorrei dire, per rispondere, che non penso che la scuola debba necessariamente piegare pro­grammi, metodi e contenuti alla sensibilità de­gli studenti: la scuola è anzi una delle poche pos­sibilità, per molti l’unica possibilità, di uscire dal­la rassicurante barriera del ’già noto’ e del ’già preferito’, per incontrare la diversità di lingue, sa­peri, suggestioni. Sono scettico nei confronti dell’attualizzazione della storia a tutti i costi: dà un senso di i­neluttabilità e di continuità, di im­possibilità del cambiamento. Per non annoiare è anche necessario e­saltare quanto nel passato è stupe­facente in quanto diverso dall’oggi. Altro errore madornale, nell’inse­gnamento della storia, è la rinuncia alla complessità e la banalizzazione dei programmi e delle spiegazioni: verso il basso non ci si incontra mai, e più il do­cente banalizza più lo studente sarà indotto a semplificare e a disinteressarsi».

Lei è autore di un fortunato manuale di storia per la scuola. Quali particolari obiettivi si è posto nel­ lo scriverlo?
«Credo che lo studio della storia debba amplia­re il più possibile il ventaglio dei punti di vista. Il Novecento ci ha lasciato in eredità tanti modi di studiare la storia, che hanno privilegiato di vol­ta in volta metodi tratti dalla filosofia, dall’eco­nomia, dalla sociologia, dall’antropologia e da altre scienze umane e anche naturali. È questo a rendere affascinante e difficile lo studio della sto­ria: assorbire il più possibile temi e strumenti for­mulati da tutte le altre scienze che indagano l’u­manità. Personalmente ho tentato di compiere questa operazione di moltiplicazione delle pro­spettive e delle fonti, anche attraverso un appa­rato di approfondimenti monografici, e dunque senza diluire o irrigidire il testo principale».

Quanto è importante lo studio della storia re­cente, quella degli ultimi decenni? Glielo chiedo perché spesso nell’ultimo anno di scuola supe­riore i professori arrivano a trattare la seconda guerra mondiale e se va bene la guerra fredda, trascurando per ragioni di tempo, ad esempio, la politica e la società italiana dal dopoguerra a og­gi, il Sessantotto, gli anni di piombo...
«Al contrario di quanto un pregiudizio diffuso la­sci credere, solo in tempi recenti siamo giunti ad espungere la storia ipercontemporanea dai pro­grammi di insegnamento. Nell’Ot­tocento postunitario e per tutta l’e­poca fascista i manuali di storia in­sistevano molto sull’attualità, poi­ché lo studio della storia era visto come funzionale al nation building, alla costruzione dell’identità della nazione. Ciò moltiplicava i rischi di uso politico della storia stessa: ba­sta sfogliare i manuali in uso du­rante il fascismo per rendersene conto. Questo mostra che l’inse­gnamento dell’oggi è un aspetto molto delicato: non si tratta solo di estendere un lasso cronolo­gico, ma di comprendere perché lo facciamo e con quali obiettivi»