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 2014  giugno 28 Sabato calendario

UCRAINA, SI’ ALL’ACCORDO CON L’UE

La ruota torna indietro, la sfida riparte, sale di nuovo la febbre in tutta l’Europa orientale. L’Ucraina ha firmato un accordo di associazione e libero scambio con la Ue, e anche Georgia e Moldavia hanno firmato altrettanti patti di cooperazione con Bruxelles: economicamente, politicamente, commercialmente, e soprattutto storicamente, un altro passo di allontanamento dalla Russia e di avvicinamento alla Ue. Cioè all’Occidente, alla Nato, agli Usa, secondo la visione del Cremlino. E «mettere a scegliere l’Ucraina fra la Ue e la Russia spaccherà l’Ucraina in due», predice cupamente Vladimir Putin.
Da patti simili a questi, è nata la miccia che mesi fa ha incendiato l’Ucraina. A novembre, la Ue aveva fatto la sua offerta, giudicata da alcuni un errore imperdonabile, una sfida irrazionale e prematura all’impero. La Russia aveva subito «suggerito» a Kiev, Chisinau e Tblisi di dire «no», e l’allora leader ucraino Viktor Yanukovich aveva obbedito con una capriola all’indietro. Oggi, cacciato Yanukovich, e con le truppe russe ancora alla frontiera ucraina, Kiev torna a correre sotto le ali europee e rilancia il suo «sì» a Bruxelles. La Nato si felicita, Bruxelles prevede già accordi ancora più profondi. Ma proprio questi furono i preludi dello scontro in Crimea, e nel Donbass. Si ritorna alla stessa situazione di allora. Si riprende a festeggiare in piazza Indipendenza a Kiev, ma con lo stesso senso di precarietà: all’Est, solo negli ultimi giorni, sarebbero morti 20 soldati ucraini.
Dal canto suo, la Ue ritrova la voce per una sorta di ultimatum al Cremlino: entro 3 giorni, dovrà dimostrare concretamente il disarmo dei separatisti russi, ritirare le truppe dal confine, iniziare negoziati seri. O saranno inasprite le sanzioni attuali. Da Mosca, reazioni irate ma nello stesso tempo guardinghe: Sergei Lavrov, ministro degli Esteri mai così comprensivo, dice che su tutto ciò si può discutere, purché però non si trasformi – appunto - in un ultimatum. Anche la protesta del vero e unico capo, Putin, è dura ma anch’essa meno ringhiosa del previsto. Chiede intanto il prolungamento della tregua fra i separatisti russi e l’esercito ucraino a Donetsk e dintorni: e la ottiene, la tregua durerà altri 72 ore. Putin auspica la pace. Poi annuncia che difenderà la comunità economica e commerciale formata da Russia, Kazakistan e Bielorussia. E avverte che Gazprom, il colosso monopolista dell’energia, taglierà le forniture di gas naturale e petrolio a quei Paesi che si azzardino a rifornire l’Ucraina con le proprie scorte.
Sabato ci sarà un vertice telefonico fra Putin, Angela Merkel, Francois Hollande, e il leader ucraino Petro Poroshenko. Gli ultimi tre chiederanno al primo, come già chiesto dai 28 leader riuniti nel Consiglio Europeo, di accettare controlli sul confine russo-ucraino affidati all’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa.
Ma quel confine è assai poroso; armi leggere e pesanti, lanciamissili, mortai, autoblindo, filtrano ogni giorno da villaggi dove si parla quasi esclusivamente russo e dove la guardia nazionale ucraina o quella confinaria hanno solo un controllo diurno, nominale. Poi, c’è la catena della dipendenza economica. E qui, la profezia di Putin («se si mette l’Ucraina a scegliere fra Russia e Ue, si spacca in due») ha una certa logica: un terzo del commercio estero di Kiev dipende dalla Ue, e un altro terzo dalla Russia. Un dilemma da Salomone, non da Putin, o da Poroshenko.
Luigi Offeddu