Mario Ajello, Il Messaggero 27/6/2014, 27 giugno 2014
JUNKER, IL CAMALEONTE AMICO DI BERLINO
Grigio. Ma anche di colore cangiante. Come un camaleonte. Jaen-Claude Juncker, nome francese, cognome tedesco, e sempre attento a non farsi schiacciare tra Francia e Germania, è il lussemburghese più noto del Gran Ducato che rappresenta allo stesso tempo il simbolo dell’Europa lontana dalla gente - Cameron lo chiama «l’uomo del passato» - ma è diventato anche, a sorpresa, l’uomo della rivoluzione democratica europea. Cioè della nouvelle vague di questo tornante storico nel quale le circostanze, le convenienze e i reciproci interessi si sono coagulati fino a portarlo, con un consenso tiepido che si addice alla democristianeria del personaggio, alla presidenza della Commissione Ue.
Juncker, ormai il più esperto dei timonieri europei, è stato il figlioccio di Kohl, la Merkel non stravede per lui ma lo influenza assai, e la Germania per tenerlo sulle spine ne parla così: «Non è un amico dei tedeschi» (Der Spiegel). Mentre i tabloid britannici lo descrivono, amplificando certi suoi tratti comportamentali noti a tutti a Bruxelles dove le giornaliste conoscono tra l’altro la sua fama di seduttore, come un dissoluto che beve e che fuma gioiosamente. Così il Daily Mail ha spiegato ai suoi due milioni di lettori: «Juncker beve cognac a colazione». Ironie, sarcasmi, ma il personaggio ha la rocciosità di tutti i tipi politicamente molto duttili e flessibili e dei navigatori di lungo corso. La lunghezza della sua carriera politica (a 28 anni è entrato nelle stanze del potere e non ne è più uscito) non ha niente da invidiare a quella di Andreotti. E come il Divo Giulio, a cui somiglia in quanto a post-ideologia, è famoso negli euro-palazzi per l’inclinazione alle battute taglienti. A cui egli accompagna anche gesti eclatanti. Indimenticabili le pacche sulla pelata di Berlusconi, immortalate durante un vertice Ue nel 2004. Juncker il suo obiettivo lo ha sapientemente raggiunto. Ma a dare le carte è sempre frau Angela.
Mario Ajello