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 2014  giugno 27 Venerdì calendario

BERLUSCONI EVITA LA SCONFITTA PREZZO SALATO, CERCASI SOCIO IN POLE AL JAZEERA E VIVENDI


MILANO.
Il risiko dei diritti tv della Serie A si chiude con un compromesso all’italiana che conferma lo status quo (il digitale resta riserva di caccia di Mediaset, il satellite regno esclusivo di Sky) e consente a tutti, se non di dichiararsi vincitori, almeno di sostenere di non aver perso: le tv di Rupert Murdoch restano centrali nel mondo del calcio a pagamento tricolore risparmiando un po’ di soldi; il Biscione, fresco del trionfo sui diritti Champions contro il tycoon australiano, si svena un po’ ma non resta tagliato fuori dalla partita tutta d’oro del Campionato; i club, pur rinunciando a più di cento milioni l’anno, esorcizzano lo spettro delle cause legali che avrebbero congelato gli incassi della tv, mettendo a rischio la campagna acquisiti di questa estate.
I RISPARMI DI SKY
Sky, dopo lo smacco della Champions, era obbligata a calare l’asso (leggi un’offerta cui non si poteva dire di no) sulla Serie A per non rimanere senza offerta di calcio sui suoi canali. E l’ha fatto, vincendo l’asta per il digitale e quella per le 8 big di Serie A sul satellite mettendo sul piatto 779 milioni di euro. L’accordo raggiunto ieri rimescola le carte ma lascia a Murdoch il monopolio sul satellite dell’offerta integrale della Serie A con una spesa (572 milioni) inferiore di ben 200 milioni di quella messa a budget e superiore di soli 8 milioni del costo dei diritti nel triennio precedente. I soldi risparmiati, tra l’altro, potrebbero essere reinvestiti per comprare un po’ di partite di Champions da Mediaset, che su questo fronte deve un favore a Sky: nell’ultimo triennio la rete satellitare aveva “subaffittato” al Biscione per qualcosa come 65 milioni l’anno – tra contanti e pubblicità - gli incontri della Coppa dei Campioni.
LA “REMUNTADA” MEDIASET
Mediaset, in teoria, aveva perso l’asta. Vincendo solo i diritti sulle 12 “piccole” della Serie A con un’offerta di 301 milioni. L’intesa ribalta tutto: il Biscione perde questo pacchetto tout court, ma conquista le partite delle otto big sul digitale, merce preziosissima nel mondo della pay-tv. Il prezzo, ovvio, è più alto: Cologno spende 373 milioni, 100 in più di quanto pagato nell’ultimo triennio per tutta la massima serie sul digitale. Tra il salasso della Champions (230 mln annui) e questo pacchetto, Mediaset vede lievitare di quasi 270 milioni l’anno la sua bolletta dei diritti. E non a caso la famiglia Berlusconi sta cercando un socio (Al Jazeera e Vivendi sono in pole)
con cui dividere oneri e onori del calcio a pagamento in tv.
IL SACRIFICIO DELLA LEGA
Le squadre di Serie A hanno rinunciato con l’armistizio a 130 milioni di entrate. Il massimo incasso dell’asta era di 1,08 miliardi l’anno. Ora Sky e Mediaset staccheranno un assegno di 945 milioni (al netto di diritti online e a quelli esteri ancora da piazzare), in ogni caso 104 milioni in più del vecchio accordo. Il sacrificio dei presidenti, però, è figlio di un doppio calcolo. Se il bando fosse finito con una pioggia di ricorsi in tribunale, gli incassi dei diritti sarebbero stati con ogni probabilità sub judice. E nessuna banca gli avrebbe accettati come garanzia assicurando i quattrini per il prossimo calcio mercato. In base alla legge dei due forni, poi, la rinuncia di oggi potrebbe tradursi in un guadagno domani. Far trionfare Mediaset o Sky avrebbe potuto in teoria condannare a morte (finanziariamente parlando) Premium o le reti satellitari. Riducendo la concorrenza e gli incassi potenziali in vista delle aste future. Un rischio che i presidenti della Serie A hanno preferito
evitare.
L’unica vittima dell’intesa, in teoria, è l’advisor Infront. Gli accordi prevedevano che per la società di Marco Bogarelli scattasse il rinnovo automatico del contratto per 6 anni in caso di sorpasso del minimo garantito ai club di Serie A, vale a dire 980 milioni. Il pasticcio dell’asta e i dubbi interpretativi sul bando di gara rischiano di costare al Infront la commissione milionaria.

Giuliano Balestreri e Ettore Livini, la Repubblica 27/6/2014