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 2014  giugno 27 Venerdì calendario

GERMANIA, ESSERE CREDENTI COSTA


da Berlino

Una pastora protestante può sposare un musulmano? Dipende. Nel Sud della Germania, a maggioranza cattolico, no.
Nella Berlino atea e protestante, sì. Sono le contraddizioni della Germania o, meglio, le differenze. Nonostante quel che si crede, cattolici e protestanti sono quasi alla pari in Germania.
Anzi, negli ultimi tempi della vecchia Repubblica Federale con capitale nella renana Bonn, i fedeli della Chiesa di Roma superarono di poco i luterani. Poi, con la riunificazione, si aggiunsero i 17 milioni di tedeschi della Ddr, in maggioranza protestanti. In fondo, Lutero era nato dalle loro parti.
Un quarto di secolo dopo, i cattolici sono tornati in leggero vantaggio: poco più di 24 milioni, circa il 30%, contro poco meno del 24%.
Bisogna tener presente, tuttavia, che si conteggiano solo quanti fanno realmente parte della comunità. Se si appartiene a una confessione, qualunque sia, si deve versare l’8% di tasse in più. Un peso notevole, e gli ossies, come vengono chiamati gli ex cittadini della scomparsa Germania Est, hanno fatto rapidamente i loro calcoli.
A parte le diversità teologiche, quel che divide le due chiese è lo status di preti e dei loro colleghi pastori: i primi sono chiamati dalla vocazione, la loro è una missione. Per i luterani è una professione. Si diventa Pfarrer studiando teologia all’università, poi ci si candida a un posto in parrocchia. Lo stipendio non è male, nonostante la crisi, e le uscite dalla Chiesa, per crisi di fede o per risparmiare sulle tasse (circa 200 mila se ne vanno ogni anno, sia cattolici sia protestanti, anche in questo alla pari). È la comunità che elegge e assume il suo Pfarrer e, nel caso, lo può licenziare. Non è una missione a vita: basta citare il caso di Joachim Gauck, ieri pastore e oggi presidente della Repubblica.
E Frau Merkel, come si sa, è figlia di un pastore protestante. Un Pfarrer si può sposare, il prete ovviamente no. Una differenza che crea un grave problema alla Chiesa cattolica. Nel lavoro quotidiano in parrocchia, i pastori sono avvantaggiati perché condividono la vita quotidiana dei loro fedeli. Anzi, nella scelta della loro guida, i parrocchiani, di solito, preferiscono un candidato con moglie e figli. Il partner, uomo o donna che sia, ha una parte attiva nella parrocchia: organizza il Kindergarten, o corsi per le madri, oppure i corsi di danza, e la bocciofila.
Anni fa, prima di scrivere una storia, chiesi alla mia editor tedesca (figlia di un pastore, ex moglie di un pastore), se una donna Pfarrer avrebbe potuto sposare un pizzaiolo italiano. Perché no?, mi rassicurò, purché lui diventi luterano. Non è una regola assoluta, cambia di regione in regione, e con i tempi.
La battaglia di Frau Carmen Hacker è durata tre anni, e alla fine ha vinto. Nel 2011, la Chiesa Evangelica del Württemberg, l’antica Svevia, che è a maggioranza cattolica, le aveva impedito di diventare pastora perché aveva sposato l’uomo che ama, Monir, conosciuto nel 2010 durante una vacanza in Bangladesh. Difficile amore. Monir non ottenne il visto per la Germania, e, racconta, pagando 9 mila euro ottenne invece il visto per l’Italia. «Non proprio dietro l’angolo, ricorda Carmen, ma almeno ci ritrovavamo sullo stesso continente».
Si vedono a Roma, finché il visto scade. Non rimane altra strada che il matrimonio: la futura pastora sposa Monir, che è musulmano. E la Chiesa, per così dire, la «licenzia». «Amo la mia Chiesa e amo Monir, e non voglio rinunciare né alla mia fede, né a mio marito», dice Carmen. Comincia la sua battaglia, finché aiutata dalla deputata verde Katrin Göring-Eckardt, a sua volta sposata con un pastore, trova la via d’uscita: trasferirsi a Berlino. I prussiani sono meno rigidi dei meridionali svevi, e da qualche mese Carmen ha conquistato la sua parrocchia: «Monir viene ad aiutarmi di tanto in tanto, e nessuno si scandalizza, un musulmano può pregare in una chiesa di Lutero, come in una moschea».

Roberto Giardina, ItaliaOggi 27/6/2014