Stefano Sergi, La Stampa 27/6/2014, 27 giugno 2014
MA COGNE NON SI LIBERA DEI FANTASMI. GITE MACABRE ALLA VILLETTA SULLA COLLINA
La coppia di turisti italiani parcheggia l’auto e fa due passi sulla stradina asfaltata di Montroz, tra le case affacciate sulla meravigliosa piana di Sant’Orso. Non cerca sentieri né cascate. Cerca una villetta, anzi «La» villetta: la trova in fondo alla via, si ferma a osservarla, il tempo di mormorare «...era lì» e scattare una foto. Dodici anni, quattro mesi e 28 giorni non sono abbastanza per spegnere i riflettori. Cogne è circondata da tesori della natura, eppure quella villetta ormai muta e spoglia in cui Annamaria Franzoni uccise suo figlio Samuele è ancora una calamita per chi sale da queste parti a godersi il fresco.
Il tempo sembra essersi fermato: l’erba è alta, i fiori sono quelli che crescono spontanei e colorano di bianco giallo e viola qualunque prato di Cogne, le ante in legno non vedono da anni una mano di vernice e hanno ancora i segni dei sigilli giudiziari. Non si muove foglia. Qui attorno vivono ancora le vittime del putiferio scatenato dalla disperata difesa dei Franzoni, quelle famiglie tirate in ballo come possibili colpevoli e coperte di fango. È lontano anni luce quel 1993, l’anno in cui Anna Maria e Stefano si erano trasferiti a Cogne per costruirsi il futuro e realizzare i loro sogni. Oggi la villetta è un monumento abbandonato: duecento metri quadrati, al piano terra ha la zona notte, quella con la camera da letto teatro dell’omicidio, a fianco c’è un minialloggio di servizio, al primo piano la zona giorno da cui godersi un panorama mozzafiato più una mansarda, e sotto il giardino c’è il garage.
«È una casa che vale almeno 6-700 mila euro» dice un agente immobiliare della località. Da queste parti alloggi nuovi e in bella posizione costano anche 6 mila euro al metro. Sarà per questo che l’avvocato Carlo Taormina, reclamando 800 mila euro di onorari non pagati dalla famiglia Franzoni (che ha risposto chiedendone a sua volta duecentomila di danni) tempo fa si sfogò con La Zanzara: «Se mi pagano, la casa se la tengono. Altrimenti me la piglio io, e chi sennò?».
Strascichi di una storia dove i riflettori non si spengono mai. Il sindaco di Cogne, Franco Allera, ripete il suo mantra: «Per noi è una storia chiusa e prima la dimentichiamo e meglio è». Ma quando ha saputo che i giudici hanno imposto ad Annamaria il divieto di tornare a Cogne, ha tirato un sospiro di sollievo: «Non credo che i giudici abbiano tenuto in considerazione le nostre volontà, ma la decisione di certo non ci dispiace. L’importante era che non venisse a scontare il resto della pena quassù». «Resta in ognuno di noi un disagio umano su una vicenda che non ha nulla a che fare con il nostro paese e le nostre bellezze - aggiunge l’assessore al Turismo e albergatore Andrea Celesia - Non siamo noi a considerare quella villetta come un monumento dell’orrore, per noi è una casa come tante, siete voi a vederla in un altro modo».
Maria Del Savio Bonaudo, il procuratore di Aosta che coordinò l’inchiesta, oggi fa l’avvocato e sul ritorno a casa di Annamaria dice: «Continuerà a dire che c’è stato un errore giudiziario perché deve convincere familiari e amici. Ma l’importante è che noi sappiamo che l’autore di quel delitto non circola liberamente per le strade».
Stefano Sergi