Maurizio Molinari, La Stampa 27/6/2014, 27 giugno 2014
ALEPPO, L’ORRORE DEI BAMBINI RAPITI PER FARE I KAMIKAZE
Centottantasei bambini curdi sono stati rapiti in Siria dai miliziani islamici di Isis intenzionati a trasformarli in baby-kamikaze da adoperare per accelerare l’edificazione del Califfato jihadista. Il sequestro è avvenuto il 30 maggio e la vicenda trapela solo ora grazie al racconto di Mustafa e Mohammed, riusciti a fuggire assieme a due coetanei, eludendo la guardia degli «uomini mascherati di nero che ci sorvegliavano».
La vicenda inizia quando una carovana di dieci minivan lascia l’enclave curda di Kobani, ai confini con la Turchia, diretta verso Aleppo. A bordo ci sono 186 ragazzi, fra i 14 e 16 anni, diretti nella maggiore città siriana per sottoporsi a esami scolastici che la guerra civile rende oramai impossibili nelle località più decentrate. I pulmini vengono fermati alla periferia del centro urbano ad un posto di blocco con le bandiere nere di Isis - lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria - e dirottati su un altro percorso. La destinazione è Minbej, un piccolo centro nelle regioni orientali della Siria sotto il controllo dei jihadisti.
All’arrivo i bambini vengono affidati ad alcune scuole coraniche e, secondo il racconto di Mustafa, «ci offrono da subito cibo di buona qualità». In particolare «la mattina a colazione ci danno verdure e dolciumi» ovvero alimenti divenuti rari a causa della guerra civile iniziata nel 2011. A sorvegliare le scuole sono uomini armati «in gran parte stranieri - racconta il ragazzo - alcuni russi altri libici, sauditi». Sono tutti armati e, fra una lezione di Corano e l’altra, obbligano i ragazzi curdi a vedere dei filmati in cui si esaltano i martiri della Jihad, si illustrano le tecniche di combattimento e si insiste in particolare sul fatto che gli insegnamenti islamici «portano a sacrificare la vita contro gli infedeli». Mustafa dopo quattro giorni riesce a fuggire, assieme a tre altri ragazzi, e torna a Kobani dove da quel momento circolano, secondo fonti locali, le voci più disparate: dalla decapitazione di alcuni ragazzi al fatto che altri avrebbero ceduto alle pressioni psicologiche e accettato l’offerta di arruolarsi nella Jihad. Fra i fuggiaschi c’è anche Mohammed, 15 anni, che racconta: «Dopo averci fermato hanno separato i maschi dalle femmine, portando via solo noi, e poi ci hanno mostrato video di decapitazioni spiegandoci che si trattava di un’introduzione alla Jihad, ci hanno anche avvertito che se avessimo tentato la fuga ci avrebbero tagliato la testa». A ogni ragazzo i miliziani di Isis hanno dato una coperta, facendoli dormire in 17 per camera, con un imam che ogni giorno li sveglia al mattino per le preghiere rituali, seguite da lezioni sulla Sharia, la legge islamica. «È al calar della sera - aggiunge il ragazzo - che per cinque ore si svolgono lezioni di Jihad con spiegazioni e video su esecuzioni e attacchi suicidi».
La vicenda, rivelata grazie a testimonianze raccolte da «Guardian» e dalla «Cnn», ha innescato più conseguenze. La più immediata riguarda centinaia di alunni, dalle elementari al liceo, originari della stessa Kobani, che si trovano ad Aleppo e si rifiutano di tornare a casa, nel timore di subire analoga sorte. Soli, in una città assediata e senza risorse, si trovano de facto intrappolati.
Poi c’è quanto sta avvenendo dentro Kobani dove gruppi di parenti avrebbero deciso di organizzarsi per raggiungere Minbej e riprendersi, armi alla mano, i figli. Ultimo, ma non per importanza, l’impatto dei curdi in Siria e in Iraq, che fino ad ora hanno avuto un atteggiamento defilato sui progressi jihadisti ma potrebbero essere spinti da questo episodio a cambiare approccio, schierando i peshmerga a difesa delle comunità aggredite.
Maurizio Molinari, La Stampa 27/6/2014